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L’escursionista Rollo e la sua educazione sentimentale

7 Giugno 2023

Domenica 11 giugno 2023  alle ore 10 nel cortile del Museo Civico di Cremona, in via Ugolani Dati, Alessandra Fiori insieme con Tiziano Vidali, alpinista, converserà con Alberto Rollo autore del libro  ‘Il grande cielo. Educazione sentimentale di un escursionista’ (Ponte delle Grazie). L’incontro, aperto a tutti, è realizzato in collaborazione con la sezione CAI, Club Alpino Italiano, di Cremona. 

Questa storia prende l’avvio dall’infanzia, quando Alberto comincia a conoscere la montagna con l’immaginazione, quando l’immaginazione fa le sue prove e si mette alla prova. Nella sua stanza, nel quartiere di periferia della grande città, Alberto apre cartine sul letto e vede e sente i sentieri e le vette. La visione delle montagne cresce insieme a quella della città. Milano e arco alpino erano due vastità che era certo avrebbe esplorato. Le cartine del Touring club italiano gli consumano gli occhi, raddoppiando il gioco dell’immaginazione, impara a ridisegnare strade, misurare dislivelli…ma poi lo spazio di carte e mappe non basta più…Erano gli anni ‘50 di una famiglia proletaria di Milano: era sicuro che avrebbe compiuto la traversata delle Alpi perché era necessario il sogno di contemplare la faccia del mondo. Milano, l’Europa era al di là delle Alpi. La linea delle montagne vista non come “limite”, ma come “confine”: un progetto di immensità. Il padre lo portava ai confini del mondo, faceva di lui un uomo che appartenesse alla città, dilatava l’orizzonte del tempo a venire, così si aprivano frontiere poderose.

L’inizio lascia presupporre un’educazione sentimentale ripercorsa in ordine cronologico, invece il libro è caratterizzato da un continuo alternarsi di ricordi e immagini, non ha importanza il filo della successione di eventi e persone che il protagonista ha incontrato, l’importante è che ci siano e ci siano stati. E sono tanti gli incontri di Alberto Rollo, uomo di libri che di libri ne ha letti moltissimi e che guarda all’arte in ogni sua forma: ce ne restituisce la ricchezza in riferimenti puntuali, versi di poeti, immagini dipinte, motivi musicali, libretti d’opera, architettura contemporanea, film.

Il padre sorride di quel bambino che vuole scalare le montagne, come un Achille sotto le mura di Troia.
L’immaginazione si arricchisce di dettagli: le scarpe giuste. Il padre prende tempo, il tempo della costruzione. Bisognava attendere il tempo per il suo battesimo della montagna. Quegli scarponi di cui è sprovvisto ritornano più volte lungo la narrazione. Sappiamo che la montagna del padre resterà quella indicata da lontano, non avrà mai gli scarponi, non cercheranno percorsi insieme.

La lontananza dalla fisicità della montagna, la contemplazione passiva sono filtrate dalla sua immaginazione. La montagna è un’ascensione, la montagna non salva, non redime, è spettacolo che affatica. La prima montagna che conosce dal vero, la villeggiatura proletaria, l’aria buona raccomandata dai medici, sono le Prealpi lombarde, popolate da pochi bambini e molti adulti e vecchi. Quella montagna dell’infanzia permeata del profumo e del sapore del latte. Odori cattivi senza cattiveria. Le sue prime montagne entrano nell’immaginazione di un grande poeta: Giovanni Testori. Ma sono tantissimi poeti italiani e stranieri che vengono citati nel libro, quasi non si distingue più la prosa dalla poesia, la poesia dalla montagna: tutto emoziona. L’autore è profondo conoscitore del linguaggio poetico e la prosa è pregna di figure retoriche, di ossimori e di immagini. Spesso il poema e il romanzo si incrociano e producono la grandezza dell’accadere.

Nessuna nostalgia per le montagne raccontate dal padre. La montagna è rimasta ignota, pur avendo ottimi scarponi. Non ha più fiato, i runner lo infastidiscono, la montagna è bellezza, fatica, contemplazione, un dispiegarsi del bene. Ora il suo passo è lento, pensoso, saldo ma in allarme. È chiara la logica del passo, una forma di solitudine: tornano parole, controversie, fantasmi. Allo stesso tempo si pone attenzione sullo scarpone, il ciottolo, la pietra immobile. La concentrazione è la risposta alla stanchezza fisica, la logica del passo non ha la cadenza della ragione. È una sorta di turbolenza interiore ed è diverso il cielo sotto cui si specchia quando è nella metropoli.

Alberto Rollo ha avuto un’educazione alla montagna che non vira all’alpinismo, allo “scalare me stesso” che era stato di Bonatti, quello dei grandi eroi, i solitari, quelli che aspirano alla grandezza del cielo. Li cita tutti i grandi dell’alpinismo ed è un viaggio, come un ripercorrere le letture dei grandi autori di montagna, da Rumiz a Marco Albino Ferrari, da Corona a Camanni, da Erri De Luca a Rigoni Stern. Ci si perde e ci si ritrova: come in questo libro a inseguire lo sbriciolio dei fatti e l’insorgere di sensazioni: come una ricognizione.

In questo libro c’è davvero tantissimo, c’è l’immaginazione e c’è la durezza della vita di chi abita la montagna e di chi abita la grande città. Se Cognetti si sente tradito dalla città, da Milano, Alberto Rollo si sente salvo dentro i viluppi di una metropoli. Siamo noi che facciamo le città e non smettiamo di farle, hanno uno spirito che è il nostro e che si muove nel tempo, ne facciamo la cultura percorrendole, mettiamo i nostri ometti di pietra per quelli che ci seguono. Rollo si porta dietro la città e sa che la montagna può essere protetta se parallelamente anche la città si salva. Il dolomitico duomo di Milano di Dino Buzzati ben rende questa commistione, questo groviglio di città e montagna.

Torna in Valsesia, a Varallo, per chiudere questa che definisce un’escursione letteraria (“deliberatamente erratica ricognizione narrativa”) a riannodare un filo che sembra tirato dall’infanzia alla piena maturità, un percorso che si arricchisce di assonanze e concomitanze. Gli ometti di pietra sono fatti di carta o di musica o di immaginazione per quest’uomo di libri e noi in questo suo libro ci perdiamo e poi ci ritroviamo, dopo tanto avere imparato e immaginato, sotto un grande cielo.

 

Alessandra Fiori

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