Alimentazione nei secoli. anche a tavola il moderno impoverimento culturale

2 Luglio 2022

E’ universalmente accettato il concetto che definisce l’uomo un animale onnivoro, poiché per i nostri antenati fu giocoforza imparare a mangiare un po’ di tutto, i supermercati non eranoancora aperti e si dovevano nutrire di quello che trovavano. Tuttavia nelle diverse epoche il modo di alimentarsi ha conosciuto variazioni tali da indurre cambiamenti non solo culturali – è noto che cibo e cultura vanno di pari passo – ma anche fisici; come vedremo, in epoca preistorica c’era un uomo diverso dal suo simile neolitico. Dal paleolitico fino alle prime fasi del neolitico l’uomo era nomade, si spostava di continuo e si procurava il cibo cogliendo i frutti spontanei della terra (bacche, radici e frutti selvatici) e cacciando: era il modo più pratico di procurarsi il sostentamento e, in termini nutrizionali, la carne rappresentava una preziosa fonte di proteine e lipidi. Non dimentichiamo comunque che prima di comprendere l’utilità della caccia, gli uomini mangiavano insetti (cavallette e formiche) termiti e piccoli mammiferi. Solo col tempo e l’esperienza i nostri antenati impararono a cacciare e pescare,
Questo tipo di alimentazione, unitamente ad un continuo impegno fisico, ha fornito i connotati caratteristici dell’uomo paleolitico: alto, magro e dalla scolatura tonica.

IL FUOCO

La vita dell’uomo cambia completamente con la scoperta del fuoco che consente di difendersi dalle fiere, la cottura rende non solo più gradevole e digeribile la carne, ma la sterilizzazione dovuta al calore elimina germi e parassiti, con i risvolti salutari facilmente intuibili.
Nel corso del neolitico (dal 10.000 al 35.500 a.C. circa), l’uomo da nomade diventa stanziale perché impara a coltivare la terra e scopre l’allevamento; questa nuova vita porta a cambiare l’alimentazione che diventa più varia, inoltre si fanno i primi esperimenti culinari che vedono il consumo di diversi alimenti insieme. In questa epoca cambia anche il fisico dell’uomo che i rilievi antropometrici descrivono più piccolo e meno tonico rispetto al suo antenato paleolitico . La nascita delle prime civiltà porta a importanti cambiamenti delle abitudini: gli Egizi migliorano l’arte della pesca, a Babilonia si cuociono gli ortaggi, inoltre il consumo di carne diminuisce sensibilmente a favore di cereali e legumi (che insieme sono fonte di aminoacidi essenziali), frutta, ortaggi, vino e birra fanno parte del quotidiano. I Greci consumano il pranzo intorno ad un tavolo promuovendo attività intellettuali che hanno influenzato la cultura dei secoli seguenti (il simposio di Platone). Formaggio, olive pesce e vari tipi di pane accompagnano il dotto disquisire. I consumi di carne sono ridotti ed esclusivi delle classi privilegiate. Anche i Romani, influenzati dai Greci, banchettano, ma il convivio non è occasione di cultura, bensì di ostentazione di opulenza; sono descritte cene luculliane (la cena di Trimalcione) in cui si faceva a gara nel mostrare l’originalità delle portate (ghiri, cinghiali, pavoni…) accompagnate dalle salse più raffinate (fra queste va ricordato il garum, una salsa a base di interiora di pesce di cui i romani erano ghiottissimi e che pare avesse anche un effetto rasserenante (una sorta di antenato delle moderne benzodiazepine), al punto che veniva distribuito alle truppe prima dell’assalto.  Anche a Roma il consumo di carne è riservato alle classi abbienti, mentre le classi più povere si alimentano con legumi, pane e cereali (famosa la zuppa di farro decantata da Orazio).

I BARBARI

Oltre i confini danubiano e renano Unni, Visigoti, Franchi e altri popoli noti col nome generico di Germani apportano novità quali zenzero e noce moscata, oltre a bevande sconosciute come l’idromele. La cucina dei barbari non è certo raffinata come quella imperiale; praticano un’agricoltura rudimentale e si dedicano alla caccia, quest’ultima fornisce proteine animali che giustificano le proporzioni fisiche per l’epoca gigantesche : altezza media cm 175 a fronte dei 160 dei legionari. (è noto il passaggio nel De Bello Gallico in cui Cesare invita i legionari a non temere i giganteschi uomini di Ariovisto).

MEDIOEVO

Nel Medioevo invece, dove la povertà può raggiungere dimensioni estese , l’alimentazione si basa su cereali, segale, orzo, frumento e miglio. I nobili consumano selvaggina e maiale , quest’ultimo molto apprezzato.

QUATTROCENTO-SEICENTO

Con la scoperta dell’America arrivano nuovi prodotti come il mais, ereditato dai Maya, o il cacao, proveniente dal Messico. Pomodoro, cereali, fagioli, chili, peperoni, peperoncino (chiamato dagli spagnoli fuoco vegetale) patate (in particolare le patate dolci). E poi ancora arachidi, fichi d’india, zucche, e frutti come ananas, avocado e papaia, arricchiscono le tavole. Mentre la povera gente continua ad alimentarsi con prodotti a basso costo, i nobili consumano pasti smodati: si riempiono la pancia al punto che dover dormire seduti su letti corti e imbottiti di cuscini che sollevano il busto, temendo di morire soffocati dal rigurgito. Consumando molta carne i nobili sviluppano sovente la gotta (dovuta ad un accumulo di acido urico che cristallizza e precipita nelle cavità articolari) e per questo definita sin da allora come il male dei ricchi. Sempre fra le classi privilegiate, in questo periodo la cucina assume connotati edonistici: alla corte francese gli chef si sbizzarriscono creando nuove salse e condimenti (le più note sono la besciamella e la maionese), fra i più graditi dessert vanno annoverati lo zabaione e la cioccolata. In altre parole non si mangia più per nutrirsi, bensì per il piacere del palato e ciò è anche dovuto alla sperimentazione di nuove erbe aromatiche e al nuovo modo di cuocere la carne (nel tegame con il vino e meno frequentemente alla griglia o allo spiedo).

ILLUMINISMO E ROMANTICISMO

Con l’avvento del movimento illuminista, anche l’arte culinaria diventa “ragionata”: la cucina diventa metodo, il che consente la nascita di una cucina per il ceto medio, poco raffinata, ma abbondante (soprattutto di carne). Caffé , liquori, cedrate, limonate e gelati compaiono sulla tavola, anche grazie alla nascita, nella prima metà dell’Ottocento, dell’ industria della refrigerazione. Sempre nello stesso periodo compaiono margarina e yogurt, tipici prodotti industriali, inoltre le osservazioni sulla fermentazione compiute da Pasteur consentono un significativo miglioramento della qualità di vino e formaggi. In questo periodo inoltre, anche fra le classi meno abbienti si diffonde l’abitudine del pranzocome occasione conviviale, cosa che sino ad allora era riservata ai ceti privilegiati.

OGGI

A parte la Nouvelle Cuisine e la Cucina Chimica che, a mio avviso, hanno celebrato la propria decadenza sin dalla loro comparsa sulla scena internazionale, merita particolare attenzione il Fast Food.; come nutrizionista, chi scrive non può che scagliare anatemi contro questa follia, utile solo all’industria agro-alimentare e non certo ai consumatori. Il cosiddetto junk food (cibo spazzatura) è molto efficace nell’accorciare la vita: siamo iperalimentati e disnutriti (mangiamo troppo e male), un numero sempre maggiore di persone in Occidente è in sovrappeso e il sovrappeso è la fucina di patologie croniche e degenerative; in altre parole i nostri figli e nipoti avranno una qualità di vita inferiore alla nostra. Non posso non citare la dieta mediterranea che sembra essere un felice connubio fra gusto e salute: una lunga ricerca epidemiologica ha evidenziato che la popolazione cretese presentava un minor numero di casi di cancro e una significativa percentuale di persone longeve.

Ormai è universalmente accettato che per dieta mediterranea si deve intendere il regime alimentare osservato a Creta prima del 1970: cereali non lavorati (grano e orzo utilizzati per pane e gallette), legumi (fave, ceci , piselli e lenticchie), verdure (fonte di fibre) e olive a volontà, carni bianche in modiche quantità, frutta secca (noci, pistacchi, mandorle, castagne), pesce e molluschi, insieme a yogurt di pecora e capra costituivano gli ingredienti principali, insieme all’immancabile olio di oliva. Non vanno inoltre dimenticati vino e miele. Si noterà che pasta e pizza non fanno parte della dieta mediterranea, anche se da più parti questi alimenti vengono elencati fra le componenti della dieta stessa (la pressione commerciale arriva a limiti di impudenza sorprendenti), e questo perché tutti i prodotti a base di farine raffinate – cioè bianche- non possono fare parte di un regime che affonda le proprie radici in trentacinque secoli di storia.

Il legame tra società, cultura e cibo è indubbiamente forte, oggigiorno assistiamo ad uno spiccato impoverimento culturale che si accompagna inevitabilmente alla perdita delle tradizioni culinarie e alimentari. Non vanno inoltre dimenticati l’aggravarsi degli squilibri economici e l’aumento delle patologie correlate ad un’alimentazione sbagliata; tutto questo ci sta portando ad una situazione con cui presto dovremo fare i conti.

Come conclusione un po’ scherzosa, mi sono divertito ad immaginare il quadro di un improbabile Arcimboldo contemporaneo, paragonato all’opera del suo ben noto omonimo di ieri, forse aiuta a riflettere.

 

Giuseppe Pigoli

 

 

5 risposte

  1. Dotto ed esemplare excursus nella storia, che riempie di contenuti e risposte il vuoto culturale di fondo che noi operatori avvertiamo occupandoci per lavoro di enogastronomia.
    Le storture ormai radicate nelle abitudini alimentari di grandi e piccini sono clamorose. E purtroppo praticamente irrimediabili.
    L’abbondanza ha reso remota la capacità critica e qualsiasi tentativo di redenzione si infrange contro un muro di consuetudini consolidate in oltre 50 anni di consumismo. L’impero dello zucchero, del raffinato, della proteina animale, del preparato comodo hanno reso “normali” scelte alimentari per lo più discutibili quando non dannose. Non so che dire: è tutto così impregnato di ragioni commerciali e industriali che sembra quasi anacronistico invocare una rivoluzione culturale. Davvero, una certa forma di carestia non sarebbe male….. ma sarebbe meravigliosa una rieducazione a partire dalla scuola…Per dire, pane e olio: io ci sono cresciuta, ma la legge delle merendine è implacabile.

  2. “Alzarsi da tavola avendo ancora un po’ di fame “ questo ci diceva l’unico maestro alle elementari. Non saprei dire se anche oggi a scuola si fa educazione alimentare, se ciò avviene è sicuramente vanificato dalla spinta commerciale indegna; l’agroalimentare USA produce derrate pari a cinquemila calorie pro capite al giorno…e poi ci stupiamo se obesità e sovrappeso sono in crescita.

  3. Molto interessante e, da salutista discretamente ‘praticante’, mi interessa il suo giudizio sul biologico. Bufala o cosa seria? Fa bene a chi lo mangia o solo alle tasche di chi li produce?

  4. Grazie per la fiducia. Il termine biologico contempla l’impiego solamente di sostanze naturali (niente concimi chimici, antiparassitari…). La produzione però risulta diminuita rispetto alle colture tradizionali, inoltre bisognerebbe verificare se queste colture sono solo biologiche o se sono “aiutate “ da un po’ di chimica. Bisognerebbe inoltre valutare la stato di inquinamento dei terreni limitrofi. Il principio è comunque ottimo.

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