La sigla PFAS indica le sostanze per- e poli-fluoroalchiliche, una ampia classe di sostanze (parliamo di oltre quattromila molecole conosciute) soprannominate forever chemicals (sostanze chimiche perenni) per la loro persistenza nell’ambiente. Sono crescenti le evidenze di gravi effetti a carico della salute delle persone e degli ecosistemi che entrano in contatto con queste molecole.
Da tempo Legambiente è mobilitata rispetto ai casi più gravi di inquinamento legati al rilascio delle PFAS dai siti produttivi. L’impiego di queste molecole in una vastità di settori industriali e di consumo fa sì che la problematica dell’inquinamento da PFAS non sia circoscritta a questi siti, ma sia ormai generalizzata.
Concentrazioni significative di PFAS vengono misurate nelle matrici ambientali (acqua, aria, biodiversità, suolo), e in particolare in corpi idrici sotterranei e superficiali di vaste aree, soprattutto a valle di grandi distretti industriali e delle grandi concentrazioni urbane.
Il seminario Inquinamento da PFAS. Come sta la Lombardia?, programmato nell’ambito del progetto Ecotess, finanziato da Fondazione Cariplo e sostenuto dalla Camera di Commercio di Varese, ha provato a fare il punto sulla situazione lombarda, con i contributi di enti, amministrazioni e istituti scientifici. L’associazione ha inoltre elaborato un vademecum sulle PFAS per approfondire la natura diffusa della contaminazione in Lombardia, offrendo anche contributi sui casi di più grave inquinamento nelle regioni confinanti, in cui sono presenti stabilimenti di produzione di queste sostanze, come nel caso della stabilimento veneto della Miteni e della Solvay (ora Syensqo) di Spinetta Marengo in Piemonte.
“Se da un lato è possibile per il momento escludere situazioni critiche per ciò che riguarda la concentrazione delle PFAS nelle acque lombarde – spiega Lorenzo Baio, responsabile acque di Legambiente Lombardia – è pur vero che le evidenze scientifiche legate ai rischi per la salute impongono di abbassare l’asticella rispetto ai livelli di contaminazione diffusa, purtroppo riscontrate in molti fiumi, laghi e falde acquifere, soprattutto nelle aree di maggior densità di popolazione e attività produttive. La persistenza di queste sostanze nelle matrici ambientali fa sì che la loro concentrazione non possa che aumentare, in assenza di sforzi per la riduzione sostanziale dei rilasci nei corpi idrici. Uno scenario come questo obbliga da un lato ad aggiornare l’aspetto normativo, dall’altro a promuovere l’approfondimento scientifico e tecnologico per trovare alternative all’utilizzo industriale di PFAS, a partire dai settori di maggiore impiego.”
L’impiego di PFAS è connesso a una pluralità di usi industriali, agricoli e civili, dalle stoviglie ai tessuti, dai pesticidi alle vernici, perfino nella carta da forno e nella sciolina. Per questo, il contrasto all’inquinamento diffuso richiede interventi regolativi a monte, volti a limitarne l’impiego e a favorirne la sostituzione con additivi meno problematici, provvedimenti che ovviamente devono essere assunti sulla base di un quadro regolativo adeguato, europeo e nazionale, che al momento appare fortemente lacunoso.
Alla luce di ciò, e in previsione di un futuro irrigidimento delle norme, sarebbe auspicabile, da parte dell’istituzione regionale, l’attivazione di un piano d’azione, da sviluppare di concerto con le organizzazioni imprenditoriali e della GDO, per accelerare ove possibile un processo di sostituzione e riduzione dell’impiego delle PFAS nei processi produttivi e nel packaging, anche attivando misure di sostegno e incentivazione allo sviluppo di nuovi prodotti che siano in grado di ottenere le prestazioni a cui oggi si fa fronte con l’impiego di additivi perfluorurati. Nello specifico sono necessari incentivi per la ricerca scientifica e la ricerca applicata, incentivi per l’innovazione di prodotto, criteri di priorità dedicati alla sostituzione delle PFAS in misure di sostegno più generali.
La Lombardia
Come risulta evidente dal monitoraggio ambientale dei PFAS nei corpi idrici che ARPA Lombardia conduce dal 2018, in Lombardia non sussistono rilevanti fonti puntiformi di rilascio, ma piuttosto una situazione di inquinamento diffuso, sicuramente aggravata dall’elevata densità di popolazione, imprese, discariche, depuratori. A differenza di Piemonte e Veneto, è generalmente difficile individuare dei responsabili dell’inquinamento: dato l’amplissimo campo di impiego dei PFAS, molte imprese li usano ma nessuna impresa lombarda li produce.
Per quanto riguarda l’acqua di rete i gestori stanno monitorando il problema PFAS cercando di anticipare l’entrata in vigore dei nuovi limiti di legge prevista per gennaio 2026. I più grandi, in particolare, stanno sperimentando alcuni filtri a carboni attivi, con prestazioni migliori dei classici. Limitati casi di presenza di concentrazioni più elevate di PFAS, provenienti soprattutto da pozzi più vecchi e più superficiali, sono stati individuati, circoscritti e distaccati dalla rete.
Nel complesso i valori riscontrati nelle acque di rete non descrivono un quadro allarmante, se il riferimento fossero i valori soglia che stanno per essere introdotti dalla normativa europea. Occorre però evidenziare che questi parametri non appaiono sufficientemente tutelanti se paragonati, ad esempio, con i limiti dell’assunzione settimanale raccomandata dall’EFSA, l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare.
“Chiediamo ai gestori delle reti idropotabili di darsi degli standard di qualità che vadano ben oltre il rispetto dei requisiti normativi – continua Baio -. Da un lato è fondamentale mantenere un elevato livello di fiducia da parte degli utenti del servizio idrico, e dall’altro è abbastanza facile prevedere che i limiti normativi europei verranno rivisti al ribasso, e rispetto a questa evenienza davvero non è il caso di farsi trovare impreparati”
Legambiente mette anche in allerta rispetto al ricorso a fonti idriche alternative, a partire dalle acque minerali in bottiglia.
“Le acque minerali non sono assoggettate alla normativa attuale per l’acqua potabile, e non beneficiano di una attività di monitoraggio e controllo simile a quella obbligatoria per le acque potabili. Non sappiamo assolutamente nulla della contaminazione da PFAS nelle acque in bottiglia prodotte in Italia. Un recente rapporto PAN Europe (Pesticide Action Network) riferisce invece che in un ampio campione di acque minerali europee oltre la metà delle acque analizzate ha evidenziato importanti gradi di contaminazione da sostanze perfluorurate. Ciò richiama all’urgenza che in Italia si provveda anche per queste acque ad un adeguamento normativo, affinché le acque in bottiglia offrano almeno le stesse garanzie delle acque immesse negli acquedotti a scopo di consumo umano” conclude Baio.
Una risposta
Estremamente interessante e preoccupante. Chi al supermercato riempie i carrelli di pacchi di acque minerali cambierà il suo modo di bere? E Michelle Hunziker, Alessandro Del Piero e Maria Grazia Cucinotta, Elisabetta Canalis, Brumotti e tutti i personaggi che da anni guadagnano sulla loro immagine che pubblicizza acqua minerale il cui costo quasi esclusivo è costituito dalla bottiglia in plastica, sanno che vengono utilizzati per influire sulla salute dei compratori? La gente supererà l’ignoranza grazie a queste notizie informative? Lentamente, forse…