Si può risalire dalle tenebre più tetre e scorgere, dopo aver intravisto una “lumierina vacillante”, in un fresco, luminoso oceano di silenzio, quella deliziosa chiarità d’argento, con il suo ampio velo di luce?
La storia di un uomo, straordinariamente normale, può testimoniare questa risalita dagli inferi, come Ciàula che, dal ventre della montagna, attraverso una scala erta, sbuca finalmente all’aperto, sbalordito, stupito, estasiato. Il novello Ciàula è Carlo Calcagno (nella foto centrale). Durante l’adempimento del dovere, da fedele servitore dello Stato, nel ruolo di pilota elicotterista dell’Esercito Italiano, in una missione internazionale di pace della Nato nei Balcani, sotto l’egida delle Nazioni Unite, si imbatte, senza alcuna possibilità di riconoscerlo ed affrontarlo, in un nemico invisibile – l’uranio impoverito –, che gli regalerà un lunghissimo, freddo elenco di patologie, per l’esattezza 24.
Non vi è alcun dubbio che si tratti di una tragedia! Quella di Calcagni risponde canonicamente persino alle regole delle tre unità aristoteliche fissate per la tragedia classica: unità di azione, di tempo e di luogo. Servizio MEDEVAC (evacuazione medico-sanitaria), 1996, Sarajevo.
Agli encomi, per aver portato a termine tutte le missioni di volo affidategli e per aver dato “lustro” all’Esercito Italiano in contesto internazionale, si aggiungono i doni indesiderati del nemico invisibile e negli anni le privazioni e le rinunce che la malattia cronica, degenerativa e irreversibile hanno portato con sé. Piano piano è stato imposto ad un soldato modello, encomiato ed elogiato, di abbandonare il volo ed impedito di servire lo Stato. Molto gli è stato sottratto nella vita lavorativa, personale ed affettiva. Persino la sua grande passione, il ciclismo, è caduta sotto i colpi delle nano-particelle di veleno: i trofei, le medaglie conquistate in anni di sacrifici erano tutti lì a ricordargli le tante imprese, un tempo frutto di ferrea volontà, ora un ricordo.
Il buio della notte avrebbe potuto intensificare l’angoscia, alimentare la paura, generare lo sgomento attanagliante. E, invece, proprio la determinazione e la strepitosa voglia di vivere, a dispetto e nonostante la potenza del nemico, sono state capaci di attuare una metamorfosi.Sintesi del pari e del dispari, il tre è il numero della sacralità e della perfezione, della totalità cosmica: cielo, terra, uomo.
Ebbene, in un dialogo armonico tra cielo e terra, tra grandiosi sogni e dolorose realtà, quest’uomo, definito da molti un eroe, ha trasformato la sua bici in un triciclo. Tre ruote che rendono onore ad una disabilità che non si piange addosso, ma che sorride a tutto ciò che di meraviglioso ha la vita, per farlo risplendere ancora di più. Ogni giornata, da oltre venti anni, è scandita dai ritmi delle terapie farmacologiche, delle sedute di plasmaferesi ospedaliere, dell’ossigenoterapia, delle flebo e delle centinaia di compresse da ingerire, dal rumore del ventilatore polmonare notturno, tutti strumenti necessari per poter sopravvivere.
Sì, Carlo sopravvive grazie alle terapie, ma vive grazie allo sport! Un triciclo rende più stabile la sua corsa ormai minata dalle incertezze neurologiche e gli permette di diventare un campione paralimpico. Sul suo triciclo volante ha ripreso quel volo interrotto, in altre forme e con altre ali: i suoi pedali e, soprattutto, la sua mente.
Per vivere, Carlo ha bisogno di correre, di dare fiato ai polmoni stanchi e musica ad un cuore malconcio, respirando lungo le strade del Salento, verso il mare, solo con i suoi pensieri, o con gli amici del Team Calcagni al suo fianco. Il Team ha sostituito i compagni d’arme: una squadra dove non si lascia indietro nessuno, come sa bene un paracadutista della Folgore. Sono questi “suoi” ragazzi a farlo sentire vivo, loro che non hanno vergogna di una pedalata da ciclisti “diversi” in sella ad un triciclo o stesi su una handbike.
Il sole dei pomeriggi d’agosto, il vento di tramontana, gli improvvisi acquazzoni estivi regalano alle uscite di gruppo il sapore dell’amicizia che illumina il grigiore dei numerosi metalli che hanno invaso il corpo e la mente di Carlo. Nel Team Calcagni si costruisce un “NOI” inclusivo, accogliente, integrante, nel calore di un’unità che arricchisce, tutti uguali e diversi nei bisogni, nei sentimenti, negli affetti, nell’intrinseca umanità di fondo. C’è la fragilità che è ombra, smarrita stanchezza del vivere, notte oscura dell’anima, e c’è la fragilità che è grazia, linea luminosa della vita; l’una sconfina nell’altra.
Disabilità, diversità, differenza: sfumature e sinonimi che perdono di sostanza se si riducono ad una mera etichetta! Al contrario, ciascun membro del Team, con la propria peculiarità, che è preziosità ed unicità, dimostra quotidianamente come quelle sfumature terminologiche trovino senso solo nella ricchezza della diversità, risorsa e non ostacolo, ponte per intessere relazioni umane ricche e arricchenti, e non muro per dividere.
Carlo Calcagni, insignito, tra i moltissimi altri ricevuti, del premio internazionale Don Pino Puglisi “per il suo donarsi agli altri senza nulla chiedere”, insieme ai membri del suo Team, testimonia come lo sport sia veicolo di valori positivi ed universali: la solidarietà, la lealtà, il rispetto della persona e delle regole, princìpi fondanti di ogni società sana. Con il suo encomiabile esempio, Carlo dimostra, inoltre, come lo Sport, quale stile di vita, possa dare le giuste motivazioni a (r)esistere, fornendo la necessaria spinta a combattere e la fondamentale
passione per la Vita. Come quella volta in cui, trasportato dal suo triciclo, a mo’ di bussola, Paolo, ormai malato terminale di Sla, lungo i sentieri aprichi di Salice Salentino, ha sentito la brezza del vento carezzargli il viso e, in un dialogo silenzioso di sguardi tra due anime nobili, pur nellaconsapevole imminenza della morte, ha continuato imperterrito a rivolgere un sorriso alla Vita, scrivendo così nel suo silenzio lettere piene d’amore.
Attraverso strade di campagna, lungo salite e discese che costeggiano il mare, in terre di grande generosità e calorosa emozionante accoglienza, Carlo diventa protagonista del Tour per la Vita, della Run for Sla, o ancora, sotto la fulgida luce del cielo terso di Roma, porta il suo messaggio di speranza nella Bike4Fun – Gran Premio Liberazione a sostegno di ANED e AIDO. Ogni sua singola pedalata celebra la forza e la bellezza della vita, soprattutto quando essa viene danneggiata per sempre ed irrimediabilmente da una malattia che diventa una terribile compagna.
Il suo viaggio in sella al triciclo volante, fedele amico di straordinarie avventure, porta ovunque un messaggio di speranza, in nome di chi ha saputo fare della disabilità occasione di rinascita dalle ceneri e per tutti quelli che non hanno ancora trovato la forza di farlo. Un pedalare, su un filo d’acciaio, all’insegna del “Mai Arrendersi!”, che non è soltanto un motto, ma una testimonianza vivente per tutti coloro che quotidianamente fanno i conti con innumerevoli nemici, del corpo e dello spirito, e che ritrovano la speranza e la forza per affrontare le proprie paure grazie all’esempio del Colonnello!
Giuseppina Rosato
2 risposte
Grazie! Mai Arrendersi, nonostante tutto!
http://www.carlocalcagni.it
Grazie Carlo, grazie Giusi, un abbraccio e a presto ⚡🇮🇹🚴♀️🚴♀️