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Ambrosianità, cifra identitaria di Milano tra cristianità e socialdemocrazia

28 Dicembre 2024

Definire la Ambrosianità è cosa non facile. Anzi, è un concetto che il tempo anzi “i tempi” recenti hanno assottigliato fino a farlo quasi scomparire. Eppure è stato per secoli aggettivo appannaggio solo della città di Milano, e che si deve all’opera di quello straordinario vescovo che la governò de facto quando era capitale dell’impero romano di Occidente quasi 2000 anni orsono.

Oggi la Ambrosianità appare più come un cosmetico, un belletto che a seconda di chi lo usa giustifica una accoglienza di “forestieri” senza se e senza ma oppure all’opposto una territorialità un po’ esclusivista che gli altri li vorrebbe tenere lontani. In una città che è ormai al centro del turismo mondiale, che gioco forza deve per sopravvivere rispondere e adeguarsi a meccanismi e teorie globalizzate, essere ‘ambrosiani” appare se non impossibile estremamente difficile. Una cosa però si può affermare senza difficoltà: la Ambrosianità ha ben poco a che vedere con qualcosa di prettamente clericale. È una sorta di imprinting che quel vescovo-governatore ha lasciato indelebilmente dopo di sé, forte nella fede ma pragmatico nei metodi, poco propenso ai bizantinismi rituali e severo nella gestione della comunità.

“Chi non vuole lavorare nemmeno mangi” scriveva San Paolo e certamente Ambrogio ne fece una regola ferrea della sua comunità assieme però al mutuo soccorso e al sostegno reciproco: chi può aiuti chi non può. Una mal celata insofferenza per i lazzaroni, e quindi anche per le aristocrazie affogate nel lusso e nelle mollezze. Nella Milano di Ambrogio tutti erano benvenuti purché rispettassero le regole e si dessero da fare.  E quella istintiva insofferenza verso i potenti non mancava di farsi sentire, fino a far inginocchiare perfino un imperatore.

C’era in Ambrogio un che di socialista ante litteram, non c’è che dire.  E forse non è un caso che il padre del socialismo vero, Carlo Marx, fosse nato proprio nella stessa città di Ambrogio anche se 1400 anni dopo, a Treviri in Germania. E in effetti, per essere onesti con la cronologia, forse bisognerebbe dire che c’era della Ambrosianità in Carlo Marx più che del socialismo in Ambrogio…

Questa città che non ha mai avuto una vera aristocrazia e che quando l’ha avuta era laboriosa e parsimoniosa, più borghese che nobile. Questa città che tante volte si è ribellata ai potenti, dalla Repubblica Ambrosiana (appunto chiamata così dai rivoluzionari…) contro Filippo Maria Visconti fino alle Cinque Giornate, dal Biennio Rosso fino alla Liberazione, ma che sempre lo ha fatto quando proprio non ne poteva più e metteva sul piatto le sue ragioni con meneghina precisione.

Uno dei simboli che reca lo stendardo di Ambrogio sono le api, simbolo di santità ma anche di laboriosità. Una laboriosità che è la cifra indiscutibile di questa città da sempre: perfino ai tempi gloriosi del Ducato degli Sforza, la cifra della città sempre è stata la sua economia, quel suo artigianato che nelle stoffe e nelle armi raggiungeva vertici assoluti.

Tante invasioni e tante dominazioni ha subito: i goti, i tedeschi, i francesi, gli spagnoli, gli austriaci e adesso i turisti e i capitali internazionali che portano benessere e creano una nuova economia ma un po’ invasori lo sono anche loro, perché fanno sì che l’operosità ceda il passo alla rendita, dove chi possiede guadagna e chi non possiede arranca…

Quel misto di cristianesimo e socialismo che tanti secoli ha attraversato è stato anche la cifra quasi unica del Dopoguerra, in un città devastata dalla follia nazifascista (e dai bombardamenti alleati) in cui il potere non era né democristiano né socialista, ma una strana mistura tutta milanese chiamata poi socialdemocrazia, guardata con sospetto dai democristiani e criticata dai comunisti, troppo atea per i cattolici e troppo capitalista per Stalin, che definiva la socialdemocrazia “braccio sinistro del fascismo” che sottraee le masse operaie al comunismo per consegnarle al capitalismo. E in effetti quella formula è stata il terreno fertile del più grande boom economico che si possa ricordare, quella “Milano del Boom” che però si è inventata un welfare ante litteram che ancora oggi è un modello per tutto il Paese, con società pubbliche che erogavano servizi pubblici con criteri e metodologie da aziende private.

Un patrimonio, questa Ambrosianità, cui attingere ancora come a una risorsa inesauribile accumulata in secoli di fatiche, in questa nostra Italia sempre un po’ sofferente eppure sempre stupefacente, 

 

Francesco Martelli

responsabile documentale e conservatore digitale del Comune di Milano

docente di Archivistica Università degli Studi Milano

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