Quando più di un elettore su tre non vota, con punte del 50 per cento al Sud, forse non siamo in presenza di un’emergenza democratica come sostiene il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, ma bisogna fare i conti con un partito dell’astensione che conquista la maggioranza relativa. Una riflessione che nessuno finora ha fatto. Non la fanno i vincitori, anzi l’unica vincitrice Giorgia Meloni, e tanto meno s’azzardano a recitare un onesto mea culpa gli sconfitti. Se un italiano su tre decide di non recarsi alle urne, significa che non si sente rappresentato dalle proposte in campo e soprattutto da chi le sostiene. Più che un campanello d’allarme è una campana a morto, che dovrebbe destare dal torpore autoreferenziale destra, sinistra, centro e ali estreme e indurli finalmente a lavorare a una legge elettorale degna di questo nome. Tutto l’arco costituzionale, come si usava dire agli albori della Prima Repubblica, è coinvolto. E’ in gioco non solo il futuro dei singoli partiti, cioè cosa loro, ma la rappresentatività del parlamento, organo fondamentale del nostro sistema politico e della democrazia.
Alle elezioni del 2018 l’astensione si è attestata al 27,07 per cento, 24,8 nel 2013, 21,8 nel 2008, 18,8 nel 2006, 18,62 nel 2001, 17,11 nel 2006, 11,17 nell’87, 11,99 nell’83, 9,48 nel ’79, 6,51 nel ’76, anno del paventato sorpasso del Pci sulla Democrazia cristiana che invece si confermò primo partito. Nelle sei elezioni precedenti, dal ’48 al ’72, l’affluenza oscillò tra il 7 e l’8 per cento, un livello fisiologico. Solo nel 1946 alla prima chiamata alle urne dopo la guerra per il referendum su monarchia e repubblica, si sfiorò l’11 per cento (10,92), chiaro indizio di confusione e indecisione. Altri tempi, altra storia si dirà. Ma la molla che spinge l’elettore a recarsi al seggio e a tracciare una croce su un simbolo è la stessa: la motivazione. Si sta a casa se prevalgono sfiducia e incertezza sentimenti ormai radicati tra gli italiani.
Gli elettori hanno premiato Fratelli d’Italia per la coerenza del suo segretario e per un’opposizione non viscerale ma responsabile, leggasi il pieno appoggio all’Ucraina nella guerra d’invasione russa. Il programma è stato irrilevante ai fini del successo. Quanti conoscono proposte largamente incompatibili con la disponibilità di bilancio? Giorgia Meloni deve ringraziare l’ondivago Matteo Salvini, che dal governo giallo-verde al Papeete sino ai balbettamenti nell’esecutivo Draghi, ha evidenziato limiti personali e politici che hanno provocato alla Lega un’emorragia di due milioni di voti rispetto al 2008. Li ha incamerati Fratelli d’Italia, ma non sono patrimonio esclusivo di quel partito. Sono voti in libera uscita, provenienti dagli alleati di centrodestra ma anche dal Movimento 5 stelle che nel 2018 ha dissanguato il Pd, un partito che mantiene uno zoccolo duro, ma che ha smarrito la sua identità. E’ lontano dal mondo del lavoro, dalle fabbriche e dai bisogni del Paese. Guidato da un improbabile segretario che aveva annunciato lo ius scholae e la riproposizione del ddl Zan quali primi provvedimenti in caso di vittoria, ha raccolto anche più di quanto aveva seminato. Non è un caso che abbia perso 5 milioni di voti. Il Movimento 5 stelle, sceso dai 10,7 milioni di consensi del 2018 ai 4,2 del 25 settembre scorso rappresenta plasticamente la crescente mobilità dell’elettorato.
Se chiarezza e linearità hanno ricompensato Giorgia Meloni, che svuota la Lega ed erode Forza Italia, si può dire il contrario di Carlo Calenda che con Azione-Italia Viva nonostante tutto risulta il partito più votato dai giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni (17,6 per cento contro 15,4 di Fratelli d’Italia). Estensore del programma del Pd poi ripudiato, detrattore di Matteo Renzi poi suo alleato, il candidato sindaco di Roma millantava un risultato a doppia cifra; adesso si consola profetizzando sfracelli e la fine prematura della coalizione di governo. Le frizioni in seno alla Lega, con un redivivo Roberto Maroni che assapora la rivincita su Salvini e la sua defenestrazione dalla segreteria ne sono una prova. Tensioni da tempo sotto traccia che adesso esplodono in Regione dove il governatore Attilio Fontana e la sua vice e avversaria Letizia Moratti devono fare i conti con Fratelli d’Italia che, numeri alla mano, alle prossime elezioni reclamerà un suo presidente, con buona pace dei due litiganti. Un percorso che con questi ostacoli non sarà rose e fiori, ma ancora spine e dolori per il Paese.
Vittoriano Zanolli
6 risposte
Riflessioni da gran maestro pittore di un panorama…che dire disarmante sembra di essere gentile. Se sapessi usare la penna come la matita,avrei concluso con meno diplomazia.Ma ripeto non sono di penna.Voglio solo ricordare che la parola patrioti,usata come refrain dalla Meloni, si deve intendere come combattenti per la propria patria,ma anche di sostegno al proprio paese quando è in crisi. Se si va,con calcolo di solo interesse elettorale,all’opposizione,NON si ama il proprio paese, non si è patrioti, ma DISERTORI.
La motivazione, giustamente, manca. ‘ Sono tutti uguali! Quando arrivano a Roma, percepiscono fior di stipendi, annusano aria di potere, sono tutti uguali! E non li scolla più nessuno dalla loro poltrona!’ Mancanza di motivazione e di fiducia per persone che remano a favore di se stesse e non rappresentano chi le ha votate, e poi non le vede più. I partiti cercano di accaparrarsi voti con esche allettanti. Chi riceve più consensi ultimamente ha saputo toccare i tasti giusti: quelli del dissenso, della protesta, dell’appoggio ai più deboli veri o sedicenti tali. E i furbi non mollano in panne chi elargisce pressoché gratuitamente. Ora chi ha scelto anche per quelli che non hanno votato hanno chiedono di dimostrare qualcosa di nuovo e diverso. Vedremo…
Devono dimostrarsi all’altezza del compito in modo concreto e veloce. E partono da sottozero di fronte ai cittadini che attendono risposte e fatti.
Mi piace molto, Direttore, l’immagine dei voti di partito contenuti in questi vasi comunicanti che non rispondono a leggi fisiche ma ai gusti e alle scelte del cittadino. Così i voti passano dalla Lega a Fdi, dal PD al movimento 5 stelle e i “non voti” vanno invece a rimpolpare il partito degli astenuti. Il tutto sostenuto da chiare percentuali matematiche. Un bel pezzo. Complimenti.
Grazie
E’ un dato oggettivo il progressivo incremento del partito degli astenuti. Doveroso pertanto da parte degli altri partiti prenderne atto seriamente e non risolvere il problema scaricando tutta la colpa sui cittadini inadempienti. Riguardo a Salvini penso che sia l’unico caso in cui motivi opposti su uno stesso tema gli abbiano fatto male. Da una parte l’alleanza a Draghi , in particolare in merito alla guerra in Ucraina, dall’altra esternazioni di senso opposto e una sua mai disdetta alleanza col partito di Putin, che rendono bene l’aggettivo “ondivago”che lei gli ha attribuito . C’è da chiedersi a quale Ministero punterà, ma se fosse quello della Difesa, qualche ulteriore dubbio viene.