Appello ai candidati paracadutati e locali: combattete per il nostro territorio

28 Agosto 2022

Il territorio è la bella ragazza che tutti vogliono e nessuno sposa. È un mantra. In molti intenzionati a salvaguardarlo, in pochi impegnati per migliorarlo. Nella campagna elettorale appena iniziata il territorio verrà titillato dai candidati locali e dai paracadutati, quelli che prendono i voti e scappano. Quelli di una botta e via. Quelli di Heaven for everyone dei Queen, consapevoli che approderanno in paradiso solo se eletti. Del territorio parleranno quelli che di Cremona conoscono i violini, l’acciaieria Arvedi, la Mina e la Ferragni. Quelli che di Crema e dintorni sanno di Chiamami con il tuo nome e che di Soresina hanno visto lo spot della latteria omonima, con le «mucche che fanno doccia e massaggio e si rilassano». Quelli che di Casalmaggiore si ricordano di Fausto Desalu, campione olimpico nella staffetta 4 x 100 di atletica. Discetteranno sui problemi di casa nostra e costruiranno grattacieli su voci e sentito dire. Al termine del giro in giostra saluteranno. Andranno a bersi uno spritz o un gin fizz, ma prima del commiato, coraggiosi e idealisti più dei contestatori del maggio francese, prometteranno: «Non è che l’inizio, continueremo a combattere». Al bar.

Parlare a sproposito del territorio è una costante. Un fenomeno endemico che trascende la campagna elettorale. Nella nostra provincia abbondano esperti, professori, tuttologi rigorosamente autoctoni, puntuali a segnalare criticità, suggerire rimedi, promuovere studi. Pronti a starnazzare ad ogni refolo di vento, rigidi a non muovere un dito. Latitano progetti, azioni, interventi. Il fumo regna sovrano. La nebbia pure. Le parole si sprecano. Il dire ha soppiantato il fare. La calma impera. Calma piatta, simile all’ignavia. Chi va piano va lontano, ma se è troppo lento perde il treno.

A Cremona si respira l’aria più inquinata d’Italia per polveri sottili. Lo studio epidemiologico per capirne gli effetti è in cantiere. Il consumo del suolo è eccessivo e certificato. La medicina del territorio è ai minimi termini e nessuno lo nega. L’aria continua ad essere inquinata e lo studio epidemiologico non si schioda dal palo. Una onlus costruirà un edificio nel Parco del Morbasco e un Polo logistico animerà il traffico in zona San Felice. Verrà costruito un nuovo ospedale, ottava meraviglia del mondo, ma intanto mancano i medici di base, primo sintomo di un fallimento annunciato. Si sbava per il Masterplan 3c. Voluto e pagato a peso d’oro dall’Associazione degli industriali e Camera di commercio, redatto da esperti doc, gode del marchio di meglio del meglio, ma è sopravvalutato. Noblesse oblige. Ceduto dai promotori all’amministrazione provinciale, racconta del futuro del nostro territorio, ma è già vecchio. Superato, è quasi inutile. Non da buttare. Da conservare tra le occasioni sprecate. Impossibilitata a rifiutare l’offerta, la Provincia lo mantiene in essere con un’Associazione temporanea di scopo, ufficializzata lo scorso aprile al teatro Ponchielli al grido Io ci credo. L’atto di fede, anticipatore dello slogan elettorale della Lega, non ha riscosso il successo sperato e il Masterplan 3c è un fiume carsico. Compare e scompare. Carneade anche per l’ottantina di Comuni che l’hanno sostenuto, è un canestro di buone intenzioni, materiale utilizzato per lastricare le strade che conducono all’Inferno.

Nel territorio non mancano espressioni di autolesionismo, esempio la cessione della partecipata Lgh ad A2a spa. Quotata in Borsa, azionariato internazionale. Milano e Brescia al comando, A2a ha nei dividendi il moloch al quale immolare risorse e investimenti e nel territorio la vacca da mungere e blandire. Accattivante e politicamente corretta si autodefinisce Life company. Life per gli azionisti. Operazione applaudita da quasi tutte le forze politiche, la cessione di Lgh può essere letta anche come il gesto eroico di chi si è tagliato gli ammennicoli convinto di agire per il bene del territorio. L’ammirevole calata di braghe non è risultata una vincita al Superenalotto o una botta di culo, ma qualcosa di meno trionfale. Un qualcosa che ha visto ancora protagonista il fondoschiena, ma per un risultato poco affine all’incasso del biglietto vincente alla lotteria, dettaglio che fa la differenza. Che trasforma l’apoteosi in una disfatta e il gesto eroico in
una, pratica di bondage estremo. Particolare sottolineato dal blog vittorianozanolli.it con «Bollette triplicate anche per chi è allacciato al teleriscaldamento. E a2a fa profitti stellari» (27 agosto). Un titolo. Un programma.

Se queste contraddizioni e manchevolezze sono state spesso evidenziate e dibattute, non altrettanta attenzione è stata dedicata al tema della provincia divisa. Della provincia Giano bifronte, concausa principale delle distonie del mancato sviluppo e dello scarso speso specifico nelle stanze che contano. Se il Cremasco guarda a Milano e a Lodi, il Cremonese e il Casalasco altrove. Se al Cremasco non frega una cippa dell’autostrada Cremona-Mantova, al Cremonese e al Casalasco importa meno di niente dell’autonomia dell’ospedale di Crema. Ognuno pensa ai cazzi propri e delega al padreterno quelli di tutti. L’Area Omogena, patrimonio cremasco, dovrebbe trovare un riscontro adeguato nel Cremonese e Casalasco. Colmare questa lacuna favorirebbe il dialogo tra le tre realtà e aumenterebbe la possibilità di una coesione territoriale Nel frattempo l’Area omogena cremasca chiarisca a se stessa che il presidente non è un supersindaco, ma un coordinatore che raccoglie le istanze e i problemi dei Comuni aderenti. Che propone interventi, siano essi pratici o politici, per risolverli, senza scordarsi di confrontarsi con le altre realtà provinciali.

Hanno ucciso l’Uomo Ragno, non uccidiamo il nostro territorio. Chiediamo ai candidati paracadutati e locali di non recarsi al bar. Ma di combattere. Per Cremona, Crema e Casalmaggiore. Uniti e vincenti.

 

Antonio Grassi

Una risposta

  1. Il finale del solito lucidissimo intervento dell’ottimo Grassi suona come una supplica, di quelle che con dolore e sanguinante speranza I poveracci del contado presentavano al Signore o al Prelato di turno.
    Le pergamene finivano bruciate, e con loro le altisonanti prediche o i mirabili progetti di espansione delle casate.
    Non è cambiato niente.
    Le fazioni si fronteggiano, il popolino accorre alle feste di partito così come agli antichi tornei, e se ne torna col tozzo di pane e trova la casa svaligiata.
    Non si può credere a nessuno.
    I fatti lo dimostrano, ed é stupefacente come ancora si creda a Tizio e si detesti Caio come se qualcuno di questi si curasse di noi, singolarmente presi, parte di un mazzo che è chiaro quanto sia considerato inutile ciarpame, e non un popolo.
    In altri tempi si sarebbe risolta la faccenda con una rivoluzione, ma siamo stoltamente avvezzi a lasciarla fare ai nostri danni a chi usa i guanti bianchi della finanza, della scienza, dei social.
    Si sa, certe cose sporcano le mani, e se neanche la mente c è, non ci resta che piangere.

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