Approccio alle migrazioni, ovvero incontrarsi con gli ‘altri’ sul crinale

21 Marzo 2025

Proviamo a fidarci di due considerazioni che alcuni antropologi e psicologi ci propongono. La prima: le migrazioni, vecchie come il mondo, rappresentano qualcosa di fondamentale per l’umanità, sono creative e portano benefici per chi migra, per il Paese che  accoglie e per il  Paese d’origine. Ma a condizione che ci siano figure professionali preposte all’accompagnamento e al sostegno di chi necessariamente può andare incontro a uno stress migratorio. Il problema non sta né nella religione né nella cultura di origine né in quelle del Paese di accoglienza ma piuttosto nell’assenza di spazi e persone  che aiutino a far in modo che ciascuno possa mettere insieme ciò che porta e ciò che trova senza troppi traumi, rigidità e rinunce. La seconda: mentre tutte le culture definiscono chi è lo straniero per confermare il senso di appartenenza e calmare l’angoscia dei suoi membri, in nessuna esiste il concetto di un luogo di transizione, dove sia immaginato un mischiarsi arricchente tra chi abita lì e chi arriva da un là. Uomo nero, muso giallo, viso pallido, lingua biforcuta: alzi la mano chi non ha definito il diverso con un nomignolo svalorizzante, per paura. L’alterità dell’altro ci rimanda infatti a quelle parti di noi che non accettiamo, che non ci piacciono, che non vogliamo vedere, che neghiamo. 

Se è vero tutto ciò, ci viene in aiuto l’approccio transculturale, formulato in Francia da Marie Rose Moro e dalla sua scuola, migrato e fatto fiorire in Italia dalla Cooperativa Crinali di Milano. Il primo dei suoi principi fondamentali sembrerebbe quasi inutile da dire: tutti gli esseri umani sono uguali e hanno uguale dignità, le culture sono diverse tra loro ma hanno lo stesso valore. Ma  forse è particolarmente importante ribadirlo in un momento storico in cui attrezzarsi per farsi la guerra sembra per molti Paesi e governi la priorità. Si sottolinea poi che non esiste “l’uomo nudo” poiché la caratteristica universale di tutti gli uomini è di possedere ed essere posseduti da una cultura. Non esiste il funzionamento mentale al di fuori di un involucro culturale. Nel lavoro clinico e sociale all’interno di questa cornice si prova a mobilizzare le potenzialità delle persone appoggiandosi alle risorse premigratorie ma anche alla nuova libertà conquistata nella migrazione. Ogni cultura ha infatti le sue fragilità, contraddizioni e punti di forza, per cui chi migra può contare su ciò che è buono per lui qui, là, ma anche nello spazio intermedio tra qui e là. Ciascuno potrebbe fare i suoi creativi e particolari meticciamenti.

Questo sguardo ci offre diverse direzioni di apprendimento e di lavoro su noi stessi che non sono del tutto scontate, sia che siamo operatori del settore o semplici cittadini. Acquisire uno sguardo di benevolenza significa avere in mente che noi possiamo aiutare chi arriva da altre culture a trasformare le sue vulnerabilità in possibili risorse. Accogliere la diversità sospendendo iI giudizio e la gerarchizzazione diviene quasi impossibile se non siamo consapevoli delle diverse rappresentazioni che le varie culture possono avere del chi è un bambino, a chi appartiene, dell’essere uomo, donna, madre, padre oltre che dei comportamenti nella cura. Ma anche noi siamo immersi nella nostra cultura: siamo come pesciolini che solo guizzando in aria si rendono improvvisamente conto dell’esistenza dell’acqua in cui nuotano. Ci sono poi le nostre emozioni rispetto a modi di rappresentare la realtà, di pensare, di fare, a volte molto lontani da quelli a cui siamo abituati: si tratta di esserne consapevoli e di accoglierle. Non si finisce mai di imparare a decentrarsi in tutte le relazioni umane e qui si parla di un decentramento  di tipo culturale. 

Benvenga dunque il crinale su cui incontrarci  con gli altri e con noi stessi attraverso di loro. Perché forse solo attraverso un giro sull’altrove e sull’altrimenti si può tornare a rileggere il nostro qui e oggi. Ci ricorda Levi Strauss che le altre società non sono migliori o peggiori della nostra, ma conoscerle ci permette di distanziarci da essa e modificarla. Pensando di modificare le altre le abbiamo spesso distrutte. La nostra invece possiamo modificarla dall’interno senza distruggerla.  

 

Claudia Bruni

psicologa, psicoterapeuta

 

3 risposte

  1. Mi chiedo dove viva la dottoressa Bruni. Un bel discorso dal punto di vista teorico, ma la realtà è ben diversa. Lo vediamo tutti i giorni. Mi sembra che il fenomeno sia visto e considerato da un solo punto di vista. E che ne sia sottolineato unicamente il lato positivo. Tutto quanto esposto dalla studiosa resta un bell’esercizio di pura utopia.

  2. I suoi discorsi sono validi sia per chi accoglie che per chi arriva? In fondo chi arriva sa che si dovrà tuffare in una realtà completamente nuova e sicuramente diversa…

  3. Mi chiedo da quale remoto pianeta lei ci abbia indirizzato questo sermone quaresimale agevolmente smontabile e contestabile non appena da Marte lei metta i piedi sul pianeta terra. Scoprirà parecchie insospettate realtà e forse comprenderà che quel che lei definisce con angelico intellettualismo “stress migratorio” è niente rispetto a quello di chi si trova sempre più spesso a subire e fronteggiare violenza, tracotanza e completo menefreghismo delle regole di uno stato di diritto. Pertanto abbia il buon gusto di evitarci queste lezioncine sociologico buoniste.

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