Verso la metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, soprattutto durante l’estate, le vie di Cremona erano teatro del quotidiano gioco degli incontri e del continuo commercio della gente, ma, quando si partiva in auto per qualche destinazione vicina o lontana lasciandosi alle spalle la città, la vivacità dell’ambiente urbano lasciava posto alla solitudine. Dopo qualche chilometro, finite le case, lo sguardo prendeva d’infilata un ambiente composto soltanto dal grigio dell’asfalto e da distese di verde disseminate di alberi e coltivi. Il traffico era scarsissimo e anche in pieno giorno la strada era deserta. Per vincere l’inquietudine dei luoghi solitari, il guidatore sperava di incrociare qualche veicolo o di scorgere qualcuno al lavoro nei campi. Quell’atmosfera di vuoto dava, anche per piccoli trasferimenti, la triste sensazione del lungo viaggio che allontana da casa, dalle radici, dai volti familiari. Nello spostarsi da una località all’altra, pur con un percorso di pochi chilometri, lo stato d’animo diventava attento e vigile, preparato ad affrontare l’ignoto.
Con il passare degli anni la solitudine e l’inquietudine del viaggio erano andate crescendo con l’inaugurazione dell’Autostrada del Sole, avvenuta nel 1963. Lungo il tratto Bologna-Firenze, imponenti viadotti, alzati per unire una collina all’altra, si ergevano a strapiombo sulle vallate sottostanti. Capitava di percorrere quella novantina di chilometri in totale solitudine. Fino a Bologna il doppio nastro d’asfalto era un lungo rettilineo, ma da Sasso Marconi a Firenze zigzagava immergendosi nel verde della vegetazione e penetrando in buie gallerie.
Con il passare dei chilometri, però, lo stato d’animo poteva cambiare. Percorrere a velocità sempre più elevata brevi rettilinei, affrontando i curvoni che ne stabilivano inizio e fine, con l’intera sede autostradale pressoché libera, generava un’atmosfera esaltante. Carlo, uno studente iscritto alla facoltà di Medicina, all’euforia della guida aggiungeva l’ansia di arrivare a Firenze dove avrebbe incontrato una compagna di liceo, Isabella che, rimasta incinta al primo anno di Università, si era sposata e viveva con il marito nella città di Dante.
Col passare dei chilometri, però, il paesaggio appenninico, pur attraente, finiva per lasciare ampio spazio alla fantasia del ragazzo che guidava la sua Renault R8 color acqua marina e che indugiava nel vero scopo del viaggio, che era quello di avviare una relazione sentimentale e anche carnale con Isabella, iscritta alla Facoltà di Architettura di Firenze, che, nonostante avesse quasi due anni in più, era di tale avvenenza da far superare il pregiudizio, all’epoca in vigore, che, nella coppia, la donna non dovesse avere più anni dell’uomo. Non era dotata di una grande intelligenza, pur essendo in regola con gli esami, ma era simpatica e il suo modo di fare era di quelli che illudono gli ingenui che cascano nella trappola di paradisi artificiali.
Nel silenzio del lungo viaggio, Carlo ripassava mentalmente una poesia che, per fare colpo sull’amica, aveva scritto, e, in tema col viaggio, l’aveva intitolata “Autostrada del Sole”. Ma, forse per l’emozione, poiché ricordava soltanto questi pochi versi: “…Guida appoggiandoti al grembo di lei/non è forse il Sole che stavi rincorrendo, direi? per le mosche sul parabrezza è finita/Sei a Firenze e hai la coscienza pulita…” decise di lasciar perdere.
Arrivato a Firenze incontrò l’amica e siccome era l’imbrunire, passeggiando lungo alcuni vicoli quasi bui decise di giocare la carta del sentimento e le passò un braccio attorno alla vita. Lei fece finta di non accorgersi continuando a camminare e favorendo l’illusione. Carlo, ormai sicuro della riuscita, preparava l’attacco con ottimistico entusiasmo. Stava per abbracciarla e per darle il bacio sulla bocca, ma quell’entusiasmo se lo ricorderà a lungo. Quando avvicinò la bocca, lei si divincolò e allungando il passo si diresse verso casa. Carlo, come risvegliato nel mezzo di un incubo, ebbe il tempo di sentirla gridare: “Ma sono una donna sposata!” e di vederla sparire.
Sperangelo Bandera