Il 29 maggio si è celebrata la Giornata Nazionale dell’Operatore Socio Sanitario, per valorizzare l’insostituibile e prezioso operato di chi, a fianco di medici e infermieri, si prende cura dei pazienti e delle persone in situazioni di fragilità.
Come afferma Alberto Silla (Responsabile Direzione assistenziale professioni sanitarie dell’Asst di Cremona), «quest’anno ricorre il ventunesimo anno dalla istituzione di questa figura, estremamente preziosa e sempre più necessaria all’interno delle organizzazioni sanitarie. Non dobbiamo però pensare che possano colmare la carenza di infermieri», prosegue Silla, «occorre inserirli come operatori di supporto, che per il loro percorso formativo e la loro esperienza complementare possano agire sia in ambito sociosanitario che umano a fianco di infermieri e medici».
Quattro Oss in servizio agli Ospedali di Cremona e Oglio Po raccontano le motivazioni che li hanno portati a scegliere questa professione, in cui la gratificazione umana è importante quanto il desiderio di proseguire lungo questa strada.
VANESSA (ORTOPEDIA, CREMONA)
«L’OSS è una figura fondamentale: interviene in tutti i bisogni racchiusi nel concetto di “assistenza”, dalle cure primarie al bisogno di essere ascoltati»
Fin da bambina, Vanessa Mariotti non ha avuto dubbi: la sanità sarebbe stata la sua strada. «Ho sempre detto che avrei voluto lavorare all’Ospedale di Cremona», racconta. Dopo gli studi superiori, ha frequentato un corso per operatore socio-assistenziale (ASA) seguito dalla formazione per operatore socio-sanitario (OSS). Dopo il primo impiego presso una comunità per persone disabili cremonese, ha lavorato diversi anni in casa di riposo. Un concorso apre le porte dell’Ospedale di Cremona dove lavora dal 2014 nel reparto di Ortopedia. «Penso che l’OSS sia una figura fondamentale – afferma – perché interviene in tutti i bisogni racchiusi nel concetto di “assistenza”, dalle cure primarie al bisogno di essere ascoltati. Siamo gli operatori che trascorrono più tempo a contatto con i pazienti, anche se spesso le attività da portare a termine sono molte, i ritmi intensi… e il tempo per fermarsi e parlare scarseggia». L’Operatore Socio Sanitario è il punto di raccordo con gli altri colleghi e operatori, con qui instaura un rapporto di fiducia e condivisione. «Offriamo assistenza in tutti i sensi, compresa la relazione tra il paziente e il resto dell’équipe».
Tra i pregi di questa professione, c’è la possibilità d’instaurare un rapporto umano con le persone assistite: «Facendo questo lavoro ti rendi conto che alcune cose date per scontate, perché considerate ordinarie sono in realtà molto importanti». Come sottolinea Vanessa, non manca qualche criticità: «Questo impiego comporta un bel bagaglio di stanchezza, fisica e mentale, dovuta al grande carico di lavoro da svolgere in poco tempo. Spesso i pazienti stessi ci dicono che il nostro operato non è abbastanza riconosciuto. Ci sarebbero tante cose da cambiare e migliorare, ma rifarei questa scelta senza esitazioni. In futuro mi piacerebbe mettermi alla prova in altri reparti e continuare a crescere».
ANGELA (CHIRURGIA, OGLIO PO)
«Per fare questo lavoro devi amarlo: bisogna mantenere sempre il sorriso sulle labbra»
Per Angela Pellegrino, la scelta di dedicarsi alla professione di Operatore Socio Sanitario nasce tra le mura di casa. «La prima persona assistita è stata mio suocero – racconta – Era malato terminale di tumore: senza esperienza ho imparato ad assisterlo. Da lì è scattato qualcosa: in precedenza avevo fatto diversi lavori, ma ho deciso d’iscrivermi alla lista speciale per fare assistenza domiciliare». Per un anno ha prestato servizio a Gussola, per altri diciassette ha lavorato a San Giovanni in Croce, dove ha proseguito la formazione e appreso tutto ciò che era necessario per praticare questa professione. Un concorso la porta all’Ospedale Oglio Po, dove lavora per otto anni in Medicina Interna, con il desiderio di avvicinarsi alla Chirurgia. «Mi sono messa in gioco nell’ambito del progetto di Alta Intensità, che riguarda pazienti con un mix di patologie». Oggi lavora lì da sedici anni, su 35 anni di attività complessiva. «Ho vissuto tante esperienze, ma se potessi scegliere lo rifarei. Oltre al supporto dei miei colleghi e delle coordinatrici con cui ho lavorato, la forza di volontà è stata fondamentale». Riconoscere il mestiere dell’OSS è stato un percorso non scontato: «L’OSS collabora attivamente con il personale infermieristico, supportandolo sugli aspetti più pratici. Senz’altro è un lavoro molto pesante, dal punto di vista fisico ed emotivo: i nostri pazienti hanno bisogno di tutto, anche di un sorriso o di una buona parola. Per fare questo lavoro devi amarlo: essere un OSS significa buttarti i problemi personali alle spalle appena attraversi la porta dell’ospedale. Bisogna mantenere sempre il sorriso sulle labbra».
JESSICA (CARDIOLOGIA, OGLIO PO)
«Non è un lavoro per tutti: si impara ad avere a che fare con la sofferenza, serve empatia, bisogna mettere mani e gambe laddove non riescono ad arrivare i pazienti»
L’esperienza di Jessica Mussi inizia a titolo volontario, nell’ambito del servizio civile. Il primo contatto con il mondo sanitario fa maturare il desiderio d’intraprendere questa strada: dopo aver frequentato il corso per diventare Operatore Socio Sanitario, inizia a lavorare nel 2010 presso una casa di riposo. Nel 2015 prende servizio all’Ospedale Oglio Po, lavorando nei reparti di Medicina Interna, Cardiologia e a partire da giugno sarà in Pronto Soccorso. «Sicuramente fare questo lavoro non è per tutti, è un po’ una vocazione», afferma Jessica. «Significa imparare ad avere a che fare con la sofferenza: l’aspetto sanitario e professionale lo può imparare chiunque, l’aspetto umano è tutt’altra cosa. Serve empatia, bisogna mettere mani e gambe laddove non riescono ad arrivare i pazienti». La collaborazione con i colleghi è un elemento fondamentale, così come la capacità di entrare in contatto con i pazienti: «Il rapporto con loro ci dà molte soddisfazioni – prosegue l’operatrice – Sono principalmente persone anziane, che si ritrovano a mettere la propria dignità nelle mani di qualcun altro». Al desiderio di poterli aiutare si contrappone la difficoltà organizzativa e l’aspetto legato al riconoscimento della professione, che «dev’essere al servizio della vita, come tutto ciò che riguarda la sanità».
GIULIANO (NEUROCHIRURGIA, CREMONA)
«Sono innamorato del mio lavoro. A livello umano mi dà tanto, quando torno a casa porto con me gioia e soddisfazione»
Giuliano Malinverno è diventato Operatore Socio Sanitario «per caso, ma nulla succede per caso». Per anni ha lavorato in fabbrica, finché la chiusura dello stabilimento in cui era impiegato lo porta a considerare altre strade fino a quel momento rimaste in sospeso. Durante il periodo di mobilità ho utilizzato il tempo per studiare e diventare un Oss». Nel 2015 ottiene il diploma professionale: «Da lì mi sono messo in gioco – racconta Giuliano – Ho sempre avvertito il desiderio di aiutare gli altri, magari lavorando nel sociale». Il primo tirocinio in ambito sociale ha riconfermato il desiderio di mettersi a disposizione del prossimo: «Sono innamorato del mio lavoro. A livello umano mi dà tanto, quando torno a casa porto con me gioia e soddisfazione». Dopo una prima esperienza in Radiologia, oggi lavora nel reparto di Neurochirurgia, «un’esperienza nuova e bellissima, dove ho imparato sul campo tutte le procedure studiate durante il corso. Al di là dello stress fisico e mentale, è un lavoro emozionante, ma è necessario essere portati». Per questo motivo, Giuliano sottolinea la necessità di un maggiore riconoscimento per questa figura in continua evoluzione, soprattutto nel campo della formazione e dell’affiancamento per i nuovi professionisti