Roberta Pendoni racconta la propria esperienza in ambito clinico e formativo, dove ha scelto
di specializzarsi per crescere professionalmente. Perché fare l’infermiera è «Il lavoro più bello del mondo»
«Se messa al servizio dei colleghi, la ricerca aiuta a lavorare meglio e a migliorare la qualità dell’assistenza». Roberta Pendoni (nella foto centrale con lo staff) è la prima infermiera dell’Asst di Cremona a conseguire un dottorato di ricerca. La scorsa settimana a Torvergata ha discusso la tesi presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Roma, che conclude il percorso di specializzazione avviato nel 2020. Oltre all’emozione, la soddisfazione di aver concluso un percorso intenso ma orientato a completare la sua formazione e a migliorare il lavoro di cura, dagli aspetti pratici a quelli organizzativi.
DOTTORATO UNA SCOMMESSA PER CRESCERE
«Fare il dottorato è stata quasi una scommessa – racconta – ho pensato fosse importante crescere dal punto di vista culturale e professionale». Una scelta atipica, per un’infermiera: «stanno aumentando i professionisti che in quest’ambito desiderano specializzarsi, anche se i posti offerti dalle università son ancora pochi. Oltre all’apertura del mondo accademico, è necessario che le aziende valorizzino i propri dipendenti, mettendoli nelle condizioni di poter crescere». Altri due colleghi dell’Asst di Cremona – un infermiere e un fisioterapista – stanno seguendo lo stesso percorso.
RISPONDERE A UNA SOCIETÀ CHE CAMBIA
Come sottolinea Gianmario Pedretti, dirigente Professioni Sanitarie e Sociosanitarie Polo Territoriale Asst Cremona, «Specializzarsi è una scelta di crescita personale e professionale: è una forma di cura verso la professione infermieristica, continuamente chiamata a dare risposte sanitarie e sociosanitarie a problemi di salute sempre più complessi in una società che cambia. È necessario acquisire strumenti professionali clinici, metodologici e manageriali sempre più allineati al contesto in cui si opera».
Secondo Pedretti, «Avere in azienda infermieri con un dottorato di ricerca permette di poter sviluppare progetti di estrema qualità. Fare ricerca e progettare con rigore metodologico consente di orientare le decisioni strategiche nella giusta direzione, di sviluppare e potenziare modelli clinico-assistenziali in una organizzazione che “essendo viva” è chiamata ad un continuo adattamento in relazione alle variabili che definiscono il nuovo contesto assistenziale».
«DAI PAZIENTI AI COLLEGHI: «È UN’EVOLUZIONE DEL PRENDERSI CURA»
Infermiera dal 2005, Pendoni ha prestato servizio per cinque anni in Neurologia e sei in Cardiologia. Il suo percorso prosegue in ambito formativo, come tutor del corso di studi di Infermieristica e successivamente docente. In parallelo, ha conseguito la laurea specialistica e un master in Management per le funzioni di coordinamento delle professioni sanitarie.
Dal 2023, lavora al servizio della Direzione Assistenziale Professioni Socio-sanitarie (diretta da Alberto Silla), dove ha assunto l’incarico di funzione professionale per lo sviluppo organizzativo e il supporto ai progetti trasversali legati alla qualità dell’assistenza. «L’esperienza clinica- spiega – mi ha insegnato ad entrare in contatto con il mio assistito: prima erano i miei pazienti, poi i miei studenti, ora sono i miei colleghi…È un’evoluzione del prendersi cura».
Pendoni sottolinea l’importanza di continuare a formarsi e sviluppare a curiosità. «È ciò che consiglio sempre ai miei studenti – commenta – Per me, questa rimane la professione più bella del mondo, perché ti dà un’identità e uno scopo, che è il benessere dell’altro». Fare un dottorato è sicuramente una scelta impegnativa: «Sono tre anni dedicati alla ricerca. È stato un gioco d’incastri, per cercare di conciliare vita, studio e lavoro…La comprensione delle persone vicine e la collaborazione dei colleghi è stata di grande aiuto»
Pur perseguendo l’abilitazione scientifica, il suo percorso proseguirà in azienda, «Per ampliare ciò che ho già iniziato a fare», spiega. «Il percorso appena concluso mi permette di portare evidenze scientifiche all’interno della pratica clinica, per garantire cure di qualità e migliorare l’attività dei colleghi. Lo sviluppo della professione non può avvenire se non costruendo una rete di relazioni, di ricercatori e professionisti che abbracci tutta l’Italia, intenzionati a lavorare insieme per far crescere la disciplina a livello nazionale e internazionale».
LA TESI: CAREGIVER, UNA FIGURA INSOSTITUIBILE
Intitolata “Il contributo dei caregiver informali al self-care del paziente con broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO)”, la ricerca di dottorato è un progetto di matrice clinica: «valuta il contributo del caregiver nel sostegno all’assistenza domiciliare ai pazienti che convivono con questa patologia cronica», spiega Pendoni. A ciò ha contribuito l’esperienza effettuata in Pronto Soccorso durante la pandemia, dove l’infermiera è entrata in contatto con le persone che frequentavano l’ambulatorio di pneumologia.
Lo studio ha coinvolto 17 caregiver: sono in maggioranza donne, con un’età media di 63 anni; nell’80 per cento dei casi sono mogli o figlie della persona assistita. Come spiega Pendoni, «l’accordo di cura tra l’assistito e chi se ne occupa è condizionato da tanti fattori (stato di salute, capacità di autodeterminarsi, livello culturale, grado di disabilità), che spostano la relazione su un asse che va da collaborazione a sostituzione».
Come sottolinea l’infermiera, «Il caregiver si trova spesso a prendere decisioni importanti: quando andare in ospedale, quale specialista contattare…». La ricerca ha evidenziato il ruolo fondamentale di questa figura nella presa in carico a domicilio: «Nella presa in carico c’è un’area grigia, che le strutture del territorio devono presidiare per evitare ripercussioni sulla salute dei cittadini e di conseguenza sul buon funzionamento del sistema sanitario, dalle liste d’attesa all’affluenza in pronto soccorso».
Misurare la capacità d’intervento del caregiver nelle cure domiciliari, «significa capire quali strategie mettere in campo dal punto di vista infermieristico per migliorare la presa in carico, gestita da infermieri di famiglia o ambulatori dedicati». Ciò va nella direzione della domiciliarizzazione delle cure, con l’obiettivo di ridurre i ricoveri ospedalieri e definire percorsi di presa in carico adeguati, non solo dal punto di vista clinico ma anche socio-assistenziale.
COME SI ACCEDE AL DOTTORATO
Il dottorato in Infermieristica consiste in un percorso di ricerca da sviluppare in tre step, ognuno finalizzato alla pubblicazione di un articolo scientifico. Per accedere è necessario aver conseguito una laurea magistrale, quindi partecipare al bando annuale promosso dall’università di riferimento (a numero chiuso, con prova di accesso). Il percorso di dottorato è costituito da seminari e animato dal lavoro di ricerca, che può essere condotto partendo da linee di ricerca già attivate dall’università scelta, oppure da un progetto originale.