Le banche sono sempre più al centro del dibattito sullo sviluppo. Non solo perché il credito continua ad essere determinante per il sostegno soprattutto delle piccole e medie imprese, specie nel nostro Paese, ma anche per il ruolo che esse avrebbero nel favorire la transizione ecologica finanziando il passaggio alla green economy di gran parte dei settori produttivi che risentono attualmente della crisi energetica. La Banca Centrale Europea (Bce) ha varato infatti recentemente un piano strategico per indurre le banche a finanziare prioritariamente i progetti di riconversione industriale e di risanamento territoriale al fine di contrastare il degrado degli ecosistemi che sono divenuti punti di osservazione della sostenibilità economica e ambientale. Si tratta indubbiamente di un obiettivo meritorio e al tempo spesso impegnativo in quanto comporta di verificare il legame che vi è tra il sistema bancario e finanziario e il degrado ambientale e, come si dice, del capitale naturale. Questo capitale va presidiato e tutelato promuovendo banche socialmente responsabili e quindi nuovi modelli di banca.
La questione riguarda sostanzialmente come coniugare gli obiettivi di crescita dell’economia con la tutela ambientale, facendo in modo che le banche allochino le risorse alle imprese che meglio rispettano i cosiddetti principi ESG (environment, social e governance), che dovrebbero assicurare il miglior rendimento delle risorse disponibili sul piano non solo economico ma anche sociale e collettivo. Ma avverrà effettivamente così?
Le banche sono effettivamente in grado di attuare condotte virtuose e di rispondere quindi alla sfida della transizione sociale, ambientale e digitale? Questa domanda è centrale nel dibattito in corso sul futuro dei modelli bancari e sul loro ruolo nello sviluppo, perché le cose sono andate finora, purtroppo, in modo molto diverso. Nel recente editoriale di Ada Ferrari relativo a casi di Maserati, Ilva e al problematico ruolo dello Stato a difesa dell’industria nazionale, si evidenzia l’incapacità pubblica di trovare misure risolutive a crisi di imprese che perdurano da troppo tempo. Ma l’analisi va ulteriormente estesa anche a condotte bancarie che dimostrano come la sfida di cui stiamo parlando sia illusoria. Basti pensare alla recente condotta di un sistema bancario che non ha esitato a macinare profitti sfruttando l’aumento dei tassi, grazie a una politica monetaria restrittiva della Bce che, per contrastare un’inflazione peraltro poco domabile, ha pericolosamente aumentato gli oneri finanziari a carico di imprese e famiglie.
Ma c’è di più: assistiamo infatti al paradosso per cui benché venga chiesto alle banche di contribuire ad un mondo più ecologico, le stesse continuano a erogare finanziamenti a favore di attività in contrasto con la tutela ecologica e il corretto uso delle risorse, di fatto ignorando i complessi effetti di impatto sociale derivanti da certe scelte. Il profitto e la creazione di valore per gli azionisti, perseguito dalle banche, specie dai grandi gruppi bancari, sopra ogni altro obiettivo hanno portato negli anni Duemila alle ricorrenti crisi a cui abbiamo assistito, finanziarie, economiche, ma anche sociali e ambientali. Certamente, come osserva Ada Ferrari, la responsabilità è soprattutto dei pubblici poteri e della politica, che non sono intervenuti per tempo e tuttora risultano incapaci di trovare soluzioni efficaci ed efficienti. Ma la responsabilità delle banche è indubbia: che cosa hanno fatto per evitare che l’Ilva finisse nella situazione in cui è finita? Quale piano strategico è stato consigliato per affrontare i problemi non solo produttivi ma anche ambientali-territoriali e quali soluzioni sono ora indicate e proposte per uscire da una situazione che si è fatta drammatica?
Oggi si chiede al sistema bancario e finanziario di contribuire a un cambiamento di rotta. Si vogliono banche che continuino a finanziare tutto ciò che è sostenibile finanziariamente purché remuneri il capitale, lasciando alla regolamentazione del mercato la tutela ambientale (una regolamentazione peraltro carente) o banche (e banchieri) sensibili anche al rendimento sociale dell’attività finanziaria? La Bce che cosa intende fare di concreto? Assicurarsi in realtà che le banche siano stabili e solvibili inducendole a proteggersi contro i rischi climatici e quelli che provengono da un ambiente naturale in disfacimento o anche che esse non li provochino, anzi contribuiscano a limitarli ed evitarli?
Le autorità monetarie stanno pensando veramente a nuovi modelli di banca? Qualche dubbio lo si può avere. La presidente Lagarde ha fatto proprio il vero problema che qui abbiamo posto o sta facendo discorsi populisti accodandosi al mainstream degli ecologici teorici? Sta guardando al cambiamento climatico (in realtà controverso) o più utilmente sta pensando al “progresso” sociale che è questione diversa dalla semplice “crescita” nonché di primaria rilevanza per una nuova Europa?
Maurizio Baravelli
Sapienza Università di Roma
2 risposte
Nel concedere il credito le banche chiedono alle imprese di adeguarsi ai parametri ESG. Ma per i grandi gruppi bancari sorge legittima una domanda loro al loro interno rispettano i parametri ESG che chiedono alle aziende di rispettare?
Leggere l’articolo BARAVELLI- BIANCHINI ” Responsabilità sociale e corporate democracy nel settore bancario”, Rivista Minerva Bancaria.