‘Quello che è stato ritorna’ oppure ‘ciò che accade oggi è già accaduto ieri e accadrà ancora domani’. Con queste parole, pronunciate con tono apodittico, i nostri vecchi trasmettevano la loro esperienza. Queste frasi venivano ripetute in occasione di eventi recenti o del passato che catturavano l’attenzione, destando stupore o inquietudine. Più ripenso a quelle parole e più penso che i nostri nonni avevano ragione. I libri di storia ieri e i media oggi riportano notizie, quasi sempre tragiche, riguardanti gli immigrati che chiedono di entrare in Europa. Il fenomeno migranti sovente evoca reazioni contraddittorie e viene definito quasi sempre con aggettivi come allarmante oppure dalle dimensioni straordinarie. Personalmente non saprei dire in che misura le dimensioni dell’immigrazione contemporanea siano sovrapponibili a quelle di eventi analoghi del passato; quello che mi sembra sicuro è che i fenomeni migratori si sono presentati più volte alla ribalta della storia, ora come vere e proprie invasioni armate, ora come migrazioni pacifiche.
A titolo di esempio vanno ricordate l’invasione dei celti di Brenno (390 a.C.), la vittoria sui Cimbri e Teutoni ad opera di Caio Mario (102-101 a.C.) e il sacco di Alarico (410 d.C.) . Se i primi due eventi si sono verificati quando lo stato romano era in piena espansione, l’ultimo riguarda una Roma tesa a sopravvivere, ormai relegata nella periferia, non solo geografica, dell’Impero. Ma sui rapporti fra Roma e barbari, oltre ai fatti appena citati, vengono riportate, talora in modo saltuario, altre circostanze di rilevanza storica ; fra queste va ricordato che, durante il principato di Marco Aurelio, fu promosso l’arruolamento di barbari per contrastare gli assalti dei Quadi e Marcomanni. Ciò fu reso necessario dal fatto che le fila delle legioni si erano notevolmente assottigliate a causa di un’epidemia violentissima, nota come la peste Antonina. I barbari furono impiegati anche come lavoranti nei latifondi delle Gallie, svuotati da arruolamenti forzati e da epidemie ricorrenti; il fenomeno ebbe particolare rilievo nel III secolo d.C.. Per la verità in tutti i periodi della storia dell’Urbe la classe dirigente non ha mai disdegnato l’impiego di manodopera a basso costo (succede anche oggi: gli immigrati lavorano nei campi in cambio di paghe miserrime, vergognose). Una storia d’immigrazione mal gestita culminò nella disfatta di Adrianopoli (378 d.C) in cui l’esercito romano subì una disfatta da cui non poté più risollevarsi. Più che la battaglia in sé, risulta fondamentale conoscerne gli antefatti per meglio capire la portata degli eventi. Due anni prima (376 ) una massa sconfinata di Goti, pressata dagli Unni, si era presentata sulle rive del Danubio chiedendo di essere accettati come dediticii, cioè come coloro che affidavano il proprio destino all’imperatore. Ma i funzionari e i capi militari di stanza sul limes mostrarono cinismo e avidità; pretesero la consegna delle armi, specularono sulle derrate e costrinsero i Goti a vendere i propri figli. Una situazione che, a lungo andare, finì con l’esasperare i barbari. Lo storico e soldato Ammiano Marcellino (Res Gestae, libro 31) descrive in modo particolareggiato la serie tragica di incomprensioni, inganni e sotterfugi che portarono i barbari ad organizzarsi in in orde e a saccheggiare vaste aree dell’impero, fino a giungere allo scontro finale e relativa disfatta militare. La sconfitta viene definita dagli studiosi come
l’inizio di una serie di eventi che nell’arco di un secolo sfociarono nell’implosione del mondo romano occidentale .
Perché gli antefatti di Adrianopoli aiutano a capire i cambiamenti epocali che seguirono la battaglia? Forse potrebbero venirci in aiuto le parole di Alessandro Barbero presenti nell’introduzione del suo libro Barbari, immigrati, profughi, deportati nell’Impero Romano0: “…un mondo che si considera prospero e civile, segnato da disuguaglianze al suo interno, ma forte di un’amministrazione stabile e di un’economia integrata; all’esterno popoli costretti a sopravvivere , minacciati dalla fame e dalla guerra e che sempre più spesso chiedono di entrare; una frontiera militarizzata per filtrare profughi e immigrati… potrebbe sembrare una descrizione del nostro mondo e invece è la situazione in cui si trovò per secoli l’impero…”. La vicenda di Adrianopoli ci svela più di un particolare rilevante e cioè: il vallo non fermava, filtrava l’ingresso delle genti, mentre l’incompetenza e la corruzione, condita con una buona dose di arroganza, porta a commettere errori talora irrimediabili. Se vogliamo indagare il passato per trarne qualche vantaggio, dobbiamo però accettare che il presente e il passato sono mondi troppo diversi per cultura e valori, oltre che per tecnologia e conoscenza, inoltre non si può negare che la gestione del fenomeno immigrazione, a differenza del passato, oggigiorno implica dinamiche imprevedibili che sono al centro delle preoccupazioni dei governi. E ciò in funzione del continuo stato di precarietà in cui versano gli equilibri geo-politici.
Nei momenti di crisi – e l’Occidente è in crisi, anche se fatica ad accorgersene – il diverso o lo straniero viene percepito come ostile, con tutte le conseguenze negative che seguono; riaffiorano cioè gli archetipi di junghiana reminiscenza, saldamente ancorati nella nostra memoria collettiva; in questo senso la psicanalisi potrebbe spiegare perché la storia si ripete con disarmante regolarità. Vista la complessità del problema immigrazione, sarebbe velleitario coniare soluzioni da
elargire a piene mani, tuttavia, per doveroso realismo, è bene tenere presente che il fenomeno migratorio appare irreversibile e che muri, valli e fortificazioni possono solo arginare in via temporanea lo spostamento delle genti. Il ricco Occidente, popolato da due miliardi di persone, consuma l’ottanta per cento delle risorse, lasciando ai rimanenti sei miliardi gli ‘avanzi’. Non dobbiamo stupirci se chi sta male vuole raggiungere chi sta meglio, è sempre stato così. Piuttosto che indulgere a facili moralismi o slogan dozzinali scontati – questi ultimi buoni per chi ragiona solo di pancia, sarebbe più costruttivo considerare risvolti pratici che contemplino una accoglienza organizzata in modo da rendere meno preoccupanti e più gestibili le conseguenze del melting pot prossimo venturo. Edward H.Carr in ‘Sei lezioni sulla storia’ afferma che il passato è comprensibile per noi soltanto alla luce del presente, ma d’altro canto possiamo comprendere il presente alla luce del passato, cioè : ”.. .Far sì che l’uomo possa comprendere la società del passato e accrescere il proprio dominio sulla società del presente. Questa è la duplice funzione della storia.” se i concetti appena riportati sono convincenti affiora spontanea una domanda: la classe dirigente mondiale conosce la storia?
Concludo citando un episodio vissuto in prima persona che alimenta il mio pessimismo: vent’anni fa ho assistito ad una conferenza sull’immigrazione; ebbene i numeri e le proiezioni mostrate erano già allora di dimensioni astronomiche, si parlava di centinaia di milioni di persone prossime a varcare i confini del continente; ma quando è stato chiesto quale fosse l’impegno dei politici per gestire il fenomeno, con una punta di malizia l’oratore ha risposto : ‘I politici? Non fanno niente, aspettano ordini.’
Giuseppe Pigoli
2 risposte
Complimenti x la dotta e chiara analisi espositiva.
Sicuramente meno entusiasmante la frase finale sui politici che aspettano ordini…. ma dal loro operato si evince che è proprio così. Grazie
Perfettamente d’accordo.