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Braccia rubate all’agricoltura

8 Settembre 2023

Erano tre creature non ancora a fuoco. Erano opache come l’adolescenza. Le accomunava il fatto di essere indefinite, come cuccioli che ancora non sono adulti, con la loro goffaggine e la loro bellezza. Tre grazie, a modo loro. A modo loro, amiche, benché non fossero nella stessa classe. Erano ragazze con bisogni educativi speciali, il grande ombrello che comprende tante criticità. C’era svantaggio socio culturale, c’era qualche difficoltà di apprendimento, c’era poca motivazione allo studio, c’era il fatto che vivono in aree un po’ isolate. Poca vita sociale. Pochi stimoli. Niente sport. Un po’ poco per i tempi in cui viviamo.

Teresa e Paola, due insegnanti di sostegno, si erano prese a cuore queste tre fanciulle e si erano date come obiettivo di shakerare il loro mondo che sembrava sospeso in una bolla. Avevano snocciolato la piramide di Maslow e avevano deciso di puntare tutto su autostima e socializzazione, convinte che un programma di attività estive, al di fuori dell’Istituto Professionale che frequentavano, avrebbe smosso le loro vite un po’ troppo grigie, per avere 17 anni. 

La maggior parte delle coetanee esibiva tatuaggi, capelli rosa o verdi, piercing ovunque e septum al naso, unghie lunghe perfettamente laccate di ogni colore, ciglia finte, in piscina portava costumi microscopici con un filo interdentale fra le natiche e persino a scuola portava jeans tagliati e top minuscoli con la pancia nuda anche in inverno e d’estate shorts strappati all’inguine. Loro no. Laddove le compagne si vestivano per essere notate, loro si vestivano per nascondersi. Erano tre “bambine” buone, educate, meritavano l’impegno extrascolastico delle due insegnanti, un impegno non da poco. 

Le univa l’entusiasmo, l’idea di fare qualcosa insieme. “Sì ma cosa?”, chiese Paola. “Deve essere qualcosa di ludico, creativo, devono imparare qualcosa, sorridendo”, rispose Teresa. Quello fu il principio e il patto di una lunga, intensissima estate. 

Anzitutto, si accordarono con una scuola di ballo che d’estate trasferiva la propria attività presso un centro sportivo. In inverno ballavano in una palestra. Una volta alla settimana, per una cifra irrisoria, le prof e le tre ragazze impararono insieme a ballare i tormentoni estivi, qualcosa di latino, baciate e salse, ma soprattutto raggaeton, i tipici pezzi che vengono suonati alle feste, in discoteca, nei locali. Bellissima e Mon Amour di Annalisa, ma anche Disco Paradise di Annalisa, Fedez, Dj Az, Caramello di Elettra Lamborghini o Italo disco dei The Colors. Musica molto, molto, molto leggera. Le ragazze erano imbranate, seguivano le coreografie inizialmente con fatica, poi, grazie all’aiuto di alcune più esperte e decisamente non più giovani, che le affiancavano, sono diventate più sciolte e libere e hanno cominciato a divertirsi. Il gruppo era accogliente e le valorizzava, le coccolava, le faceva sentire importanti. Hanno imparato a sorridere. Si vedevano le ragazze scoordinate, concentrate sui passi, magari confondersi e sbagliare, come è naturale quando qualcuno impara qualcosa di nuovo, ma senza mai perdere il sorriso. Fra giugno e la metà di agosto hanno fatto otto lezioni. Il giovedì sera alle 19.

Accanto al ballo avevano cominciato a frequentare un bosco situato in un paesino della provincia che aveva anche una striscia d’orto. Era un luogo magico acquistato da una insegnante in pensione, che nella piccola tenuta effettuava dei corsi di yoga e piccolo teatro. A luglio le ragazze hanno seminato finocchio, bietole, zucchini autunnali, fagiolini e aromatiche e ad agosto ravanelli, rucola, spinaci e lattuga. Hanno raccolto tanti pomodori e fatto piccoli esercizi di yoga immerse nella natura ma anche esercizi semplici di avvicinamento al teatro improvvisazione. Siccome faceva molto caldo gli incontri si svolgevano alla mattina alle 8. Le ragazze non erano disinvolte e soprattutto le pratiche teatrali richiedevano lo sforzo di uscire da sé stesse per entrare in una dimensione nuova. Ad esempio dovevano dire “buongiorno” usando la voce e il corpo, imprimendo reazioni diverse: dolci, arrabbiate, assertive, impaurite ecc… Ci hanno impiegato del tempo a prendere confidenza con le emozioni e a manipolarle. Piano piano è diventato un gioco. Non vedevano l’ora di cimentarsi. Gabriella, la professoressa in pensione, aveva insegnato all’università, era una donna che sapeva toccare il cuore. Utilizzava giochi, nastri colorati, immagini e movimenti del corpo per farle aprire e parlare. Hanno fatto sei incontri. 

Le ragazze si sono mostrate sempre collaborative e malleabili, anche una di solito oppositiva ha accolto volentieri le proposte e seguito il corso degli eventi di buon grado. non ci sono stati intoppi tant’è che per completare l’opera Paola e Teresa hanno deciso di guidare in prima persona tre incontri di scrittura creativa. Le ragazze erano chiuse, timide, sembravano nascondere segreti e paure. Volevano riuscire a smussare qualche angolo, per ammorbidirle. Gli incontri si sono tenuti a casa di Paola, Teresa si preoccupava di portare torte, brioches e frutta secca caramellata, per concludere in modo conviviale i loro raduni. Del resto l’amore passa per il pane.  

Durante gli incontri hanno lavorato su fiabe indiane sul tema della paura, poi su delle immagini sotto le quali dovevano scrivere delle didascalie e su gli incipit letterari e cinematografici famosi. Rimasero molto colpite dal celebre “inizio” di Anna Karenina: “Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.” Avevano insieme ragionato sul tema della felicità. Ne sono emerse riflessioni molto interessanti. 

Erano rimaste folgorate anche dall’inizio del famoso monologo di Blade Runner: “Io ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.” Quale è la cosa più sensazionale che avete visto o avete fatto o che vorreste vivere? Su questa domanda hanno scritto i loro pensieri. Hanno insieme visto anche il film. 

Ma anche da David Copperfield, Charles Dickens: “Se io debba risultare l’eroe della mia vita, o se questo posto debba essere tenuto da un altro, lo mostreranno queste pagine. Per iniziare il racconto della mia vita con l’inizio stesso della mia esistenza, dirò che sono nato (così mi hanno detto e lo credo) un venerdì, a mezzanotte in punto”. Qui l’invito è all’autobiografia e sono uscite parole profonde e importanti. Le ragazze hanno cominciato un diario personale, pagine da corredare con fotografie, alla fine di questi racconti di vita (presentazione, descrizione fisica, hobbies, la famiglia, la scuola, il rapporto con la tecnologia, le esperienze, eventuali viaggi, progetti futuri), se i contenuti saranno interessanti, apriranno un blog. Intanto hanno già deciso di chiamarlo “Braccia rubate all’agricoltura”. Jessica, Marianna e Chiara, questi sono i loro nomi, fanno una scuola in cui ti insegnano ad amare la terra, gli animali, le piante. La prospettiva di un blog le ha eccitate. Ma questo è un progetto a lungo termine, da ponderare bene. Ci devono lavorare ancora parecchio. 

Fermiamoci ai risultati a medio termine di questa full immersion nelle emozioni: sono positivi. Le ragazze si sono tolte dalla faccia quel broncio e quella cupezza insopportabili, per lasciare spazio ai sorrisi, anche autoironici, hanno imparato a stare insieme, legate da qualcosa di vitale e tangibile. Anche prima passavano del tempo insieme ma ognuna guardava il proprio cellulare, senza scambiare nulla. Hanno imparato a interagire con persone più grandi, hanno imparato a volersi bene. Sono spuntati dei rossetti: gloss trasparenti o al massimo rosa. Qualche vestitino a fiori svolazzante al posto delle bermuda in acrilico di Asics. Capelli più curati. Qualche borsetta al posto dello zainetto. Il desiderio di farsi dei selfie con le prof e le maestre che hanno via via conosciuto. 

Paola e Teresa sono soddisfatte. Ci hanno messo grande impegno, esprimendo volontà e competenze, senza considerare che scorrazzare in macchina dalla stazione le ragazze, su e giù per la provincia, ha comportato una certa responsabilità. Hanno pagato tutto di tasca loro, anche donando un bene immateriale e preziosissimo come il tempo. Lo hanno fatto con amore, pensando fossero come delle figlie che hanno bisogno di darsi una mossa. 

A ben vedere la piramide di Maslow sui bisogni umani alla fine di questo breve, intenso percorso l’avevano toccata tutta. Sopravvivenza (pizze, torte, caramelle e panini), sicurezza (la fiducia degli adulti e il loro supporto), socialità (stare insieme facendo qualcosa di stimolante), stima e, con il blog, eventualmente, anche autorealizzazione. Bingo! 

 

Francesca Codazzi

 

9 risposte

  1. Una bella storia a lieto fine, dove la professionalità, l’empatia e l’amore gratuito di due insegnanti di sostegno vincono sui limiti e i pregiudizi nei confronti di tanti ragazzi BES. Grazie, Francesca, per aver toccato una tematica così delicata e importante.

  2. Bellissimo racconto nel quale mi sembra di intravvedere qualcosa di autobiografico. Queste due insegnanti, e anche la terza, sono esempi che non tutti sono in grado di seguire. E non tutti i ragazzi sono disponibili a farsi guidare…

  3. Un racconto meraviglioso, non solo perché ben scritto, ma perché rende possibile una utopia. L’educazione, l’inclusione, la disponibilità gratuita, l’empatia sono valori immateriali che danno vita. Grazie.

  4. Se solo, Paola e Teresa, potessero essere riprodotte per poter raggiungere tutti i focolai di fragilità e diversità intercettabili attraverso la scuola, sarebbe una società migliore.
    È un percorso impegnativo quello che hanno intrapreso, ci vuole un elemento fondamentale per realizzarlo, che spesso si è inconsapevoli di avere…si chiama “speranza”.

  5. Troppo bello! Troviamo davvero un po’ di tempo per chi ha bisogno di essere considerato svegliato accudito! E non è un premio che vogliamo ma un’apertura dei cuori, i nostri e i loro.

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