Le cosiddette piccole cose sono quelle che richiedono le più grandi attenzioni. Persino il candidato sindaco Andrea Virgilio riconosce l’importanza del tema: «Il cruccio è non aver potuto destinare maggiori risorse alla gestione ordinaria (…) Quanto al futuro, ritengo che la città abbia bisogno di un maggiore presidio della quotidianità.», ha ammesso in apertura e in presentazione della sua candidatura. Tuttavia l’argomento è scivolato via con lo stesso snobbismo con cui il centro-sinistra ha sempre trattato le richieste dei cittadini che in anni hanno inutilmente domandato maggiore attenzione alla quotidianità, alla cura, al decoro, alla pulizia, agli interventi manutentivi, alle azioni amministrative che dimostrano un attaccamento, un accudimento della propria “casa”.
«Si è trattato, però, di una scelta politica orientata a finalizzare i progetti di ampio respiro», continuò il candidato sindaco Virgilio, che dice il vero quando parla di scelta politica che ha (hanno) fatto, ma perseguire “i grandi progetti” non avrebbe dovuto escludere l’ordinario. La strategia del futuro non esime dal farsi carico dei bisogni del presente.
E infatti ci ritroviamo in una città che si trascina nella trascuratezza e vive una quotidiana rassegnazione.
Gli emblemi della trascuratezza: la scarsissima pulizia di marciapiedi e strade, ciuffetti di erbacce che spuntano in ogni dove (dal centro alla periferia), cestini troppo spesso colmi di rifiuti (incivilmente) abbandonati, tombini che debordano acqua alla prima mezza giornata di pioggia (quella pioggia che tanto invochiamo per scongiurare la siccità, ma che ci mette in ginocchio appena arriva un poco più copiosa), attraversamenti pedonali spesso mal tenuti e scarsamente illuminati, arredo urbano che anche quando viene posizionato nuovo non viene più conservato (non riusciamo a garantire la conservazione del violino nelle mani di Stradivari nell’iconica statua di corso Garibaldi davanti alla sua casa), in città mancano i colori e il verde che invece vediamo solo in occasione delle bellissime invasioni botaniche.
Gli emblemi della rassegnazione: corso Garibaldi che da San Luca all’incrocio con corso Campi vive una doppia antitetica identità (la prima funge da strada di scorrimento e la seconda sembra l’ideale set cinematografico di una “città fantasma” – una menzione d’onore vero per quei pochissimi commercianti che resistono), via Giordano oggetto di attenzione solo per la realizzazione del supermercato. È la rassegnazione che accompagna l’attesa della consegna del raddoppio del parcheggio di via Dante; è la rassegnazione dell’attesa che si concludano i lavori di via Mantova/via dell’Annona (peraltro zona di ingresso della città). È la rassegnazione delle vetrine abbassate e delle aggregazioni notturne intorno ai distributori automatici che in spregio alle regole a cui sono sottoposti, invece gli esercenti non sono nemmeno indirizzari di ordinanze di chiusure notturne. È la rassegnazione di quando va in tilt un semaforo e bisogna attendere la società che ha in gestione il servizio – non più cremonese nemmeno quella – che abbia tempo di intervenire.
Io verrò apostrofata con l’oramai inflazionato aggettivo dispregiativo della “solita populista”, mentre la stessa ammissione di fallimento, se pronunciata dagli attuali amministratori, viene definita “fronte caldo del lavoro di prospettiva”. Ma la sostanza è la stessa; il dilemma che abbiamo di fronte però è: credere a chi dice di essere rammaricato per non aver potuto (o voluto?) destinare maggiori risorse – in 10 anni – alla gestione ordinaria e promette che lo farà, o dare l’opportunità di dimostrare di essere diversi da chi, negli ultimi 10 anni, ha sempre derubricato la quotidianità a tema di secondaria importanza?
Fratelli d’Italia ha ben chiaro che se non curiamo la casa, gli abitanti vorranno cambiarla o andarsene, gli ospiti non torneranno e chi cerca opportunità di investimenti guarderebbe altrove.
Chiara Capelletti
Fratelli d’Italia