Fedora è una principessa russa protagonista di un dramma sentimentale con epilogo tragico di Victorien Sardou, che andò in scena per la prima volta a Parigi l’11 settembre del 1882, con protagonista “La Divina” Sarah Bernhardt, la più famosa attrice di tutti i tempi.
Il successo fu clamoroso, mondiale e smisurato, tanto da arrivare a cambiare perfino la moda del tempo, e non solo: la Divina infatti indossava un bizzarro e nuovo cappello morbido a falde non troppo larghe del famoso cappellaio piemontese Borsalino che divenne da subito una icona mondiale di stile fino a farlo produrre in serie anche per gli uomini, e a far prendere a quel copricapo il nome del personaggio.
Da allora in poi “il Fedora” è diventato il modello di cappello più venduto nella storia dell’umanità: da quello di Humphrey Bogart all’aeroporto di Casablanca fino a quello marrone di Indiana Jones passando per centinaia di personaggi ed idoli del cinema antichi e contemporanei, da Gary Cooper in Arriva John Doe a Leonardo di Caprio in Shutter Island o Johnny Depp in Nemico Pubblico, nessuno ha mancato di indossare un modello Fedora. I più belli di tutti? Quelli indossati dal più elegante gangster cinematografico della storia, quel George Raft ormai dimenticato dai più ma che era talmente famoso negli anni ’30 che perfino Bogart lo imitava.
Al Capone lo rese ancora più famoso portandolo rigorosamente bianco anche d’inverno, e divenne il cappello imprescindibile di ogni film noir, giallo o gangsteristico degli anni ‘20 ‘30 e ‘40.
Un vero e proprio cliché mai superato: ancora oggi basta vederne uno per strada e subito ci sentiamo trasportati in un altra epoca, elegante e fumosa, quella dell’età d’oro del cinema e della moda maschile, indimenticabile nella splendide illustrazioni che Lowrence Fellows realizzava per la la rivista Esquire prima che arrivassero le fotografie nelle riviste di moda.
Appoggiato all’indietro con baldanza sulla testa di Clark Gable in Accadde una notte di Frank Capra, il Fedora fece vendere milioni di cappelli. Quel film, uno dei più grandi successi di pubblico della storia, ebbe anche un altro effetto sull’abbigliamento: in una scena a petto nudo, abbastanza scandalosa per l’epoca, Gable non indossava la canottiera e fece letteralmente crollare il mercato della canottiera da uomo per anni, nessuno ne voleva più mettere una.
Il successo del Fedora fu così clamoroso anche perché quell’oggetto che oggi a noi pare relegato alle teste dei vecchietti, è un vero oggetto di design rivoluzionario e dalle precise forme e misure aerodinamiche cariche di sensualità e fascino oscuro: non dimentichiamo che allora le signore portavano enormi cappelli a falde larghissime in paglia di Firenze in estate o i cappellini piumati in inverno, mentre gli uomini indossavano il cilindro o la bombetta.
Sembra che proprio da quest’ultima sia nato un altro leggendario capricapo, la Lobbia: pare che il deputato di nome Cristiano Lobbia prese una bastonata in testa da un elettore scontento sul Ponte Vecchio, che oltre a lasciargli un bel bernoccolo creò nella bombetta un caratteristico incavo che da lì in poi ha caratterizzato il capello formale per eccellenza dopo il cilindro, indossato da industriali e politici, da Alberto Sordi ne Il Vedovo a Winston Churchill. Ecco, la Lobbia è anche il mio cappello preferito e proprio ieri sono andato a farmene confezionare una su misura da un maestro cappellaio.
Il mio si chiama Giancarlo, e gestisce una Cappelleria vecchia di 100 anni in viale Monza a Milano, che prende il nome dalla intraprendente signora Cabella che la fondó negli anni ’20.
Entrare in quel negozio è come varcare la soglia del tempo: cappelli dovunque impilati uno sull’altro, e poi decine e decine di buffi cappelloni di feltro di tutti i colori possibili e immaginabili che sotto le sue sapienti mani prendono la forma che avete deciso con lui per la vostra testa.
Un grande regista disse una volta che nei film di gangster il cappello era fondamentale: i gangster ci affascinano perché fanno cose che noi non possiamo fare, e quando torniamo a casa non ci resta che vestirci almeno come loro.
Quel capello che con pazienza sta prendendo forma nella mani di Giancarlo è molto più che un oggetto, è una specie di isola privata fuori dal tempo che salva dalla deriva della berrette sintetiche dei mutlibrand globalizzati senza anima e senza storia. È, quel cappello, un pezzo di storia del nostro commercio locale, che andrebbe preservato come una reliquia, ma da mettersi in testa tutti i giorni.
E allora, mettetevelo in testa!
Francesco Martelli
sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
docente di archivistica all’Università degli studi di Milano
cremonasera.it
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