Racconta Benny Lai, padre di tutti i giornalisti vaticanisti, che alle soglie del Concilio Vaticano II, evento ecclesiastico del secolo XX, giungevano a Roma da tutto il mondo vescovi e cardinali vestiti di tutto punto esibendo tutta la propria alta solenne dignità. Scendevano dalle vecchie Mercedes o Citroën nere con gli splendidi ferraioli, quei mantelli di seta marezzata color fucsia per i vescovi e rosso ponsò per i cardinali, con in testa i saturni lucidi in cavallino nero, delle bombette a falde larghe da cui prendevano eleganti le nappe verdi o rosse secondo la dignità del porporato. Il minimalismo laico imposto dal Concilio ancora doveva abbattersi sulle vesti ecclesiastiche e i dignitari della Chiesa mondiale tenevano a far bella figura davanti alla solennità di Roma Caput Mundi. Solenne la città, solenne l’evento, solenni le vesti.
Ebbe a notare allora un vecchio cardinale di Curia a Benny Lai: vedrà, tempo un paio di giorni e tutti loro si metteranno in borghese e andranno in giro per le trattorie romane senza farsi riconoscere. Roma è abituata ai lupi, dai lupi cava sempre il latte.
E in effetti è proprio così, l’arma vincente di Roma e dei romani non è la sua solennità ma la sua antica abitudine al potere, la sua secolare confidenza con l’eternità. Perfino San Pietro nella sua incredibile magnificenza pare concepito proprio come un perfetto palcoscenico dove tutti si sentano tanto a loro agio quanto umiliati. Non a caso ebbe a dire in passato un grande porporato che “San Pietro ci è costata uno scisma è vero, ma San Pietro è ancora lì e i luterani sono rimasti in quattro gatti…”. E ancora una volta Roma non si è smentita: la foto di Trump e Zalensky seduti su due seggioline a tu per tu, quasi fossero in confessione, immersi nella immensa teoria di marmi e colonne di San Pietro è il simbolo perfetto dalla continuità del rapporto millenario della Chiesa coi poteri, qualunque essi siano, e di quella straordinario capacità di Roma di cavare il latte perfino dai lupi.
E così senza dubbio sarà anche per i tanti cardinali che da tutto il mondo sono giunti a Roma per i funerali di Papa Francesco e per il prossimo Conclave. Si è discusso sul fatto che lo spostamento di qualche giorno della apertura del Conclave sia indice di disaccordo e di una elezione che si annuncia lunga e complessa, ma chissà che invece non sia semplicemente la cara vecchia abitudine di una Chiesa e di una Città millénarie che avendo da secoli confidenza col potere magari vogliono solo lasciare ai cardinali qualche giorno per godersi Roma, le sue bellezze e le sue trattorie, lasciarsi andare al dolce ponentino e diventare degli elettori più malleabili..?
Il Conclave, così come i funerali del Pontefice che ne sono il presupposto, con i loro riti, i loro tempi, le vesti scarlatte e quella incredibile unica scenografia della Cappella Sistina e di piazza San Pietro, rimangono un evento incredibilmente sempre uguale a sé stesso eppure incredibilmente attuale, di assoluta rilevanza mediatica universale e capace ancora di attirare tutti i leaders mondiali e costringerli con naturalezza a distendere i nervi e sedersi a ragionare distesi e pacati.
Francesco Martelli
sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
docente di Archivistica all’Università degli studi di Milano