Caro direttore, intervengo sull’articolo di Fernando Cirillo pubblicato ieri, intttolato ‘Il mercato della scienza: la stampa ostaggio dell’industria farmaceutica’.
Mah, non conosco la rivista dei soci Coop, però Lancet (e non solo quella) la conosco bene, anche per averci pubblicato qualcosa. Sul fatto che talora (che significa qualche volta) anche le riviste scientifiche più prestigiose possano pubblicare articoli non del tutto corretti non ci piove. Per fortuna però esiste una comunità scientifica internazionale in grado di individuare malafede,
mancanze, omissioni (come nel caso in questione). L’eccessiva fretta con la quale è stato pubblicato l’articolo in discussione e sul quale un’altra rivista scientifica, il BMJ, aveva già manifestato qualche perplessità, è forse figlia del periodo pandemico, durante il quale le informazioni scientifiche sono state spesso affrettate, contrastanti, incomplete, frammentarie. Difficile intravedere interessi economici sul vaccino forse più economico del mondo. Non a caso l’articolo sul vaccino Sputnik (anzi sull’immunità conseguente alla sua somministrazione) è stato messo in discussione da altri scienziati, in un contesto, quello medico, nel quale nessuno, neppure una tra le riviste scientifiche più quotate, è mai stato definito portatore di verità assoluta.
Non si può invece non concordare sullo strapotere delle multinazionali del farmaco, che ormai controllano di fatto la massima parte degli studi sperimentali e che purtroppo pubblicano sulle medesime riviste ed in modo formalmente ineccepibile anche risultati di scarsa rilevanza clinica ma in grado di condizionare l’operato dei medici. Qui però il discorso si fa molto intricato e, come sempre, il bene ed il male non stanno su sponde opposte, mentre la cultura ed il senso critico cominciano a scarseggiare, anche tra di noi. Purtroppo ci si fida di affermazioni del tipo “la pandemia ha determinato un incremento del 25% del disagio psicologico” pensando magari che questo disagio riguardi il 25% della popolazione. Ma perché nessuno si chiede “ma il 25% di che?” . Basterebbe allora assai poco per verificare che questo disagio psicologico da covid ha interessato meno di una persona ogni 100
https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=105219
Un piccolo esempio di come ogni informazione può venire abilmente manipolata, e non solo dall’industria farmaceutica.
Magari sbaglio, però continuo a pensare che, in un mondo che ormai si affida alla comunicazione online per acquisire ogni tipo di informazioni, quelle scientifiche, comprese quelle pubblicate da Lancet, stiano certamente molti, molti gradini più in alto. Però anche se sei in cima al grattacielo, forse il cielo riesci a sfioralo, mai a possederlo.
Grazie comunque Fernando per avere sollevato problematiche di estrema rilevanza e scusami per non avere approfondito maggiormente gli importanti argomenti che hai proposto .
Pietro Cavalli
Una risposta
Ciao Pietro, grazie per il tuo contributo. I problemi che sollevi (o che ti ho sollecitato a sollevare) sono tanti e grossi come delle case. Innanzitutto vediamo di sciogliere un equivoco: il problema non è Lancet, come penso avrai capito. E sono certo che il problema non sia neppure figlio della pandemia. Non sono convinto, in altre parole, che la pandemia abbia procurato ritardi e incomprensioni nella trasmissione delle informazioni scientifiche. Un buon comitato scientifico anche della più “svaccata” fra le riviste sa bene che ciò che verrà pubblicato diventerà parte della comunità scientifica, quindi informazioni che avranno come destinatari sia me che te. Nel mio curriculum ho più di un centinaio fra articoli, comunicazioni ed editoriali pubblicati su riviste internazionali: ho avuto a che fare con revisori molto esigenti che in qualche caso mi hanno costretto a riscrivere il lavoro anche più di una volta. In un solo caso non hanno fatto eccezioni: discutevo le proprietà di una molecola e avevo alle spalle una nota multinazionale. Ecco, vedi: la pandemia non c’entra nulla. E’ il denaro, quella cosa che non puzza mai, che fa la differenza (a questo proposito, qualche anno fa la rivista dei soci Coop mi ha pubblicato la recensione di un libro sulle minoranze linguistiche in Trentino: il pezzo mi fu pubblicato subito perché lo sponsor era un facoltoso artigiano della val dei Mocheni). La mia preoccupazione, che trovo sia anche la tua, è sulla indipendenza della ricerca scientifica. Ne parliamo con la convinzione che questo blog che ci ospita altro non potrà fare se non riportare le nostre considerazioni su questo tema che resta, per i cultori della materia, molto spinoso. Che fine farà l’informazione scientifica se la ricerca non è indipendente? Qui il gatto si morde la coda, perché tutti sanno che se un articolo non è preceduto in redazione da una lettera di presentazione firmata da chi conta, il pezzo non si pubblica. Tranne in poche eccezioni.
Mi trovo d’accordo con te riguardo alla pubblicazione su riviste scientifiche (e non) di dati percentuali in assenza di un dato assoluto. In una lettera che avevo inviato al Sole 24 ore all’inizio di quest’anno (credo) mi lamentavo per una cosa analoga ricordando che giocando coi numeri (e gli statistici a farlo sono bravissimi) si può affermare tutto e il contrario di tutto. Basta scegliere il punto di osservazione. Dire per esempio che il 10% dei pazienti è deceduto in ambiente ospedaliero a causa del Covid potrebbe creare turbamento in chi legge. Ma se guardiamo il solito bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, potremmo anche affermare che il 90% è ancora vivo, dando una ventata di speranza a chi legge il comunicato. Giocando con la matematica possiamo scrivere romanzi intitolati alla ricerca scientifica: e non sarà il più bello o il più avvincente ad essere pubblicato… Vero è che la comunità scientifica è in grado di individuare la malafede, come dici, ma è vero anche che non tutti sono in grado di farlo. Per concludere, ringraziandoti ancora per questo tuo contributo, l’autorevolezza della stampa scientifica dipende da numerose variabili: l’autoreferenzialità non premia se non sul piano quantitativo. Ma la stampa scientifica per essere autorevole deve garantire un servizio – così come il giornalismo in genere – e se questo non viene percepito come obiettivo primario, il lettore col tempo se ne accorge e cambia testata.