La palestra. Io ho ripreso ad andarci ed è una grande notizia. Ma è più forte di me. Mentre mi destreggio sul tapis roulant mi distraggo ad osservare i comportamenti della fauna umana che ne condivide l’habitat. Non vi parlerò dei marpioni. Non mi fila più nessuno. Sono tutti concentrati sull’allenamento. Sono così libera di distrarmi. Mentre metto la velocità a 5 e, presa da un sussulto estremo di orgoglio, decido di alzare la pendenza a 5, balzano all’occhio i soggetti più interessanti di quello che potrebbe essere tranquillamente un trattato sociologico: gli anziani. Alcuni sono in forma, fanno gli esercizi correttamente e con disinvoltura, diligentemente fanno seguire lo stretching e si vede che sono consapevoli di quello che stanno facendo. Altri, poveri, strisciano da una macchina all’altra, vestiti come il marito della Merkel in gita pasquale ad Ischia, con l’attitudine di chi “l’ho pagata sta palestra e non mollo, piuttosto morto!”. Abbasso velocità e pendenza a 3, non senza inciampare nella parte anteriore della macchina. Un po’ mi identifico. Un po’ mi perdo nella loro danza ungherese di uova in bollitura fra le macchine.
Stanno tempi eterni seduti sulle panche degli adduttori, con al collo l’asciugamano che di solito usano dopo il bidet, fanno un esercizio ogni 15 minuti, si alzano, si asciugano il sudore grondante e con calma vanno alla macchina per gli abduttori, dove si consuma lo stesso stillicidio. Siamo certi che una bella briscola con gli amici non faccia meglio? Ma, la mia attenzione è già catturata da un ragazzo della terra di mezzo (35, 40 fino alla soglia dei 50) che fa gli esercizi in funzione dell’estensione dei tatuaggi. Questi soggetti, attrezzati come dei tronisti di Maria De Filippi, non fanno le macchine normali, sì le fanno, ma a modo loro, di traverso, capovolti, con difficoltà e pesi aggiuntivi, e poi non vedono l’ora di dedicarsi al loro corpo libero personalizzato. Infatti te li ritrovi a terra, contorti, in estensione sui loro dorsali, avviluppati in candele improbabili, appesi ai loro bicipiti, con il loro geroglifico in perfetta mostra.
Gli irriducibili non perdono una seduta. Fra loro ci sono anche alcune donne, sono lì dall’inaugurazione, hanno tagliato il nastro e hop sono salite sulla cyclette. Non sono più scese. Ragazze anche queste di una terra di mezzo che per le donne, questione di cavalleria, si dilata un po’. Non se ne parla di cedere al fascino del burraco. Vestono in modo pratico, tipo tenuta fitness time al Parco al Po, che poi è la stessa per lavare i pavimenti a casa: fuseaux, senza rischiare denuncia, e magliette free style. Non sono agghindate per farsi notare. Vogliono fare fitness e basta. Sì un po’ chiacchierano. Ma balza all’occhio soprattutto la loro determinazione. Fra di loro si aggirano studenti e istruttori di scienze motorie sempre pronti a dispensare consigli, per salvarle da sciatalgie che non perdonano.
L’istruttore di scienze motorie, anche fuori servizio, si fa notare. Non perde un dettaglio tecnico nell’abbigliamento, indossa sferragliando fra i pesetti, i guantini para colpi, per instradare le più infaticabili eroine della panchetta nella giusta direzione. Fra le donne si distingue una frangia di disperate che cominciano a frequentarla il 30 ottobre, dopo aver assiduamente abusato di aperitivi e gelati, convinte che in due mesi si possa rimediare a un’eternità di gozzovigli per entrare nella taglia 42, sottraendo tre taglie, entro il veglione di Capodanno, dove hanno deciso che indosseranno un tubino il lamé e paillettes, comprato in saldo a Forte dei Marmi, che Audrey Hepburn… scansati proprio. E’ una sfida contro il tempo. Uno scatto di reni, al netto dell’ernia che aspetta di incontrare un neurochirurgo dal 2012. Un impeto estremo per quella che è diventata una vera politica di lotta e di governo: lotta al peso e governo dei materassi sulle cosce. L’ultima volta che sono state in palestra è stato nel 1985, in quinta superiore. I loro muscoli hanno conservato l’indelebile ricordo delle dormite schiacciate sul divano, ma loro, in fondo, non smettono di credere che, sì, due mesi possano bastare per diventare Taylor Swift!
Riabbasso velocità e pendenza a 0 e avvio il defaticamento. Mi gira la testa. Ma tutto è sotto controllo. Anche stavolta non sono svenuta. Per Parigi 2024 non ero decisamente pronta, ma per Los Angeles 2028 forse riesco a salire anche sulla macchina per i dorsali e tirare giù in sincrono la sbarra senza sbatterla ogni volta contro la testa. Che palle sta palestra!
Francesca Codazzi