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Chi ha paura della pace?

24 Novembre 2023

I libri di storia sono pieni di guerre. Insegnare un capitolo di storia alle medie, ne prendo uno o due a caso, l’XI°secolo/XII° secolo, obbliga a fare un elenco telefonico di date, scandite da conflitti, equilibri apparenti e poi altri conflitti. Senza dimenticare che c’era San Francesco, con un messaggio immenso, a salvare la partita. Il Cantico delle Creature è un capolavoro. Ma, fra crociate, guerre dinastiche, lotte fra Comuni e Impero, lotte fra Papato e Impero, è tutto uno scacchiere di lotte. I bambini imparano prima la parola “guerra” e poi, sfumata, come se fosse da dimenticare in fretta, per lasciare posto ad un’altra guerra, la parola “pace”.

La pace è quasi sempre precaria, inaffidabile, da dimenticare velocemente. Chi detiene il potere non si è mai fatto troppo scrupolo di fare le guerre: affamava il popolo per approntare eserciti, gettava la gente nella miseria, nelle carestie, nella sofferenza, mandando a morire i più giovani. Non esistono guerre di fede, forse guerre ispirate nella gente più semplice dalla credulità verso una fede o un’altra che possa garantire benessere materiale e morale. Nello spirito di chi comanda esistono solo guerre di potere. Sono sempre moventi economici a scatenare le guerre. Siamo contraddittori, falsi, arroganti, vorremmo insegnare la bellezza del mondo ma persino dietro un’opera d’arte che sprigiona meraviglia c’è spesso la storia di un popolo che voleva affermare la sua preminenza. Anche l’arte è ostaggio dei conquistatori. L’arte romanica, di cui l’Italia è riccamente rappresentata, racconta ad esempio di un popolo geniale, innovativo e al tempo stesso muscolare, maschile, invadente. Sembra banalmente che la pace non ispiri più di una guerra. In realtà è il male ad essere banale. Di fatto seduce più della pace. L’uomo si nutre di antitesi e opposti. E’ competitivo. Ragiona per contrasti. Vive spesso stupidamente anche lo sport come una lotta. Da secoli. Ha tifoserie. Perde le sfumature. I dettagli della pace. Il semplice piacere di incontrarsi, senza sfidarsi o ferirsi, la gioia di misurare un talento agonistico, senza umiliare l’avversario. Nello sport infatti la pace si chiama fair-play. 

Come si insegna il fair-play? Anzitutto il fair-play significa giocare in modo fair: bello e giusto. Significa correttezza. Significa rispettare le regole. La pace è dolce, sembra molle, poco appetibile, non crea esaltazione, in realtà ha un codice rigido ed è piena di regole. Per essere liberi occorre darsi delle regole. La democrazia, che è la spina dorsale della pace, si basa su un impianto di leggi. Le leggi. La Costituzione. Il Voto. La Democrazia. Lo stato di Diritto. Il Mercato libero. La fratellanza fra i popoli. La Carta dei Diritti Europea, Adenauer, Churchill, De Gasperi, Schuman, Monnet. L’Unione Europea. La libertà. Uniti nella diversità. L’inno alla gioia. Beethoven. La festa il 7 maggio. L’euro. E tutto il pacchetto. 

Poteva scaturirne un progetto multidisciplinare, religione cattolica inclusa, valida anche per alternativa. In fondo i 10 comandamenti sono regole sane di convivenza. Da ama il prossimo tuo come te stesso a non uccidere, da onora il padre e la madre a non desiderare la roba d’altri, c’era un mondo da scoprire, problematizzare e amare. Un mondo interessante. Per la pace. 

Mario Salvelli è professore di Italiano, Storia e Geografia, in una scuola media di provincia tra manifestazioni, scioperi, marce per la pace, camicie improbabili a mezzemaniche, occhiali da ipermetrope a disagio con gli occhi per troppe notti passate sui libri. Si era scritto degli appunti. Voleva un progetto per la pace, per i suoi studenti. Lo avevano disturbato le immagini di bambini morti, spaventati dalle bombe o mutilati dopo il 7 ottobre 2023, Hamas, palestinesi e israeliani, una storia infinita. Era stufo di parlare di guerre. Ma avrebbe dovuto fare i conti con Fabio Sermarini, il biondino in seconda fila a destra, un bambino dolce, acuto, il più bravo della classe, il figlio e lo studente che tutti vorrebbero avere. L’ultima lezione, sul filo della campanella lo aveva piacevolmente spiazzato. 

“Scusi professore, la toria è piena di guerre, poi lei ci parla in geografia dell’Unione Europea, nata dopo la seconda guerra mondiale per la pace e la prosperità dei popoli europei. Ha anche registrato il voto in Educazione Civica, un 9, non mi pare di meritarlo. Io non capisco. Perché? Dopo una guerra ce n’è un’altra. Le foto dei padri dell’Unione Europea in bianco e nero che ci ha mostrato volevano la pace. Ma perché la pace non arriva mai?”.

“Sermarini, l’Europa è in pace da decenni. La pace è complicata: la pace è giocare a pallone con il tuo avversario, senza accanimento, è non provare invidia per i talenti, pure diversi che ha un tuo compagno. E’ innamorarsi delle istituzioni, visitare il Comune della tua città, fingere per un giorno, di essere sindaco. E’ votare, girare in bicicletta rispettando il codice della strada, è tendere la mano ad un amico in difficoltà, è pagare le tasse, è festeggiare il 25 aprile, il 2 giugno. E’ leggere la Costituzione: è bella come la Divina Commedia, anche se sono morte tante persone per realizzarla. E’ poter camminare sulla battigia a piedi nudi sul mare. E’ amare la vita, persino il tuo nemico, senza che il cuore ti faccia percepire di essere più fragile”.

“Non ho capito, prof, ho visto in tv tanti bambini morti, impauriti, tremavano, a causa della guerra. Ma cos’è la pace?”

“Vedi, i bambini dovrebbero restare fuori da queste logiche. Se tocchi i bambini vuol dire che sei fragile, non importa se hai ragione o torto, sei un cretino. La guerra genera mostri. La pace? E’ una regola. Un accordo bilaterale firmato da due o più parti, ma prima ancora è cultura. Vuol dire che io mi avvicino a te un poco per volta. Prendiamo le misure, ci annusiamo, ci scambiamo due parole e poi ci abbracciamo, perché siamo fatti della stessa pasta. Siamo umani. Succede anche a te, dopo che hai perduto la partita a pallone: ai e stringi la mano al tuo avversario. No?”.

“Perché?”

“Perché è così, Fabio. Se fossimo in un letto d’ospedale, malati terminali, i nostri pensieri, da ideologie opposte, sarebbero uguali. I bisogni umani sono gli stessi sotto ogni cielo. Ma gli uomini non lo vogliono capire”. 

A Salvelli veniva quasi da piangere. Tutto il suo castello ideologico stava andando a carte quarantotto. Fabio si era irrigidito. Lo guardava dritto negli occhi e concluse: “Io ho paura”. Il professore diventò piccolissimo e rispose: “Anch’io”. 

 

Francesca Codazzi

 

2 risposte

  1. Sempre precisa. Senza mezze misure, chiara, dritta al centro del bersaglio. Perchè è giusto così. Perchè le parole uccidono più della spada, e allora senza sprecare colpi vai a bersaglio.
    Un testo che dovrebbero far leggere a scuola. E non solo. Perchè l’ignoranza e l’illusione del potere uccidono più della spada. Leggere Francesca è crescita e cultura.
    Grazie

  2. Bello franci. Sempre bello leggerti. Dai ottimi spunti di riflessione e dai ordine a quel caos che talvolta ho nella mia mente. Grazie.

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