Era una notte stellata, la luna illuminava tutto, come un potentissimo faro acceso sulle cose: le strade, i fossi, i giallissimi campi di frumento, i campi di angurie. In dialetto si dice: melunèera. Faceva caldo. Le cicale cantavano e le rive delle rogge erano punteggiate di lucciole. Giulio dormiva lì, nella casotta costruita sul terreno in cui avevano coltivato i meravigliosi frutti rossi: una baracca di quattro assi e un tetto di paglia. Sotto il pagliericcio erano custoditi i cocomeri pronti per la vendita. Ci dormiva sopra, per difenderli, su un giaciglio improvvisato. Con lui c’era Lola, il cane pastore più buono al mondo. Non abbaiava mai, perché conosceva tutti. Giulio faceva la guardia alle angurie. Aveva quindici anni. Sotto una folta chioma di capelli corvini, si vedeva un corpo magro, magro e lungo, era alto e dinoccolato, le gambe rattrappite nella baracca, aveva fatto buchi ulteriori alla cintura dei pantaloni di colore marrone che si arricciavano in vita per non perderli, ai piedi calzava gli zoccoli e la maglietta beige a maniche lunghe e lo scollo a V gli dava l’aria di un contadino navigato, ma era poco più che un bambino. La scuola era finita con la quinta elementare, sotto le bombe. Non c’erano psicologi. Non sarebbero serviti: Giulio non aveva paura di niente. Siamo nell’immediato dopo guerra in un paese della campagna cremonese. La fame era tanta, la confusione pure. I campi erano la sua ricchezza.
Ma quella notte splendente il suo sonno venne disturbato dai rumori di un tafferuglio a trecento metri, all’incrocio che separa quattro paesi. Poi un colpo di fucile. Si fece piccolissimo nella sua capanna e riprese a dormire. Il giorno dopo, non si parlava d’altro, si venne a sapere che c’era stato un regolamento di conti, fra fascisti e partigiani. Gli aggressori erano tre: lui conosceva tutti e ricorda che hanno tenuto in galera quello che non era sposato e non aveva figli da mantenere. Fu un fatto di cronaca che ebbe molti strascichi. Ne parlarono a lungo. Ma Giulio è laconico: “a me interessava solo la poponaia”. Lo dice in italiano. Mi fa sorridere.
Quell’estate fu particolarmente movimentata, l’addetto alla pulizia dei fossi, in dialetto si chiama campèer, era riuscito a rubare una trentina delle sue angurie e le aveva nascoste nei depositi per gli attrezzi che servivano al suo lavoro. Giulio con il fratello più grande Elio lo hanno affrontato di petto. Elio gli ha rifilato un calcio nel sedere e gli ha intimato di riportare alla capanna i i cocomeri che aveva rubato. Li ha restituiti tutti.
Erano situazioni fastidiose, piene di tranelli e insidie, in un contesto facile alla lite, al diverbio, scambiato per celia e burla. Non si poteva stare tranquilli. Difficile stabilire il confine fra bullismo e gioco. Conoscersi tutti non sempre può essere rassicurante.
Il sabato sera, di notte, passavano i giovani che andavo in giro per fare serata. I ragazzotti di paese volevano intimorire Giulio. Si fermavano e volevano rubacchiare le angurie e dicevano: “Dai che bruciamo il casotto!” Non facevano nulla. Era uno scherzo. Ridevano. Volevano solo spaventarlo e divertirsi alle sue spalle. Non erano gli unici: un vicino, un signore molto anziano, aveva un vigneto accanto al campo di angurie. Di notte si divertiva a dare bastonate contro la capanna mentre Giulio stava dormendo. Lola non abbaiava, perché lo conosceva. Per Giulio era solo uno scemo, che voleva fargli paura, mostrando chi è che comanda. Un ragazzo così giovane era un facile bersaglio, eppure Giulio era un tipo scaltro, concreto, pratico. Non si arrabbiava mai. Sopportava con pazienza queste angherie. Era solo interessato ai frutti della sua terra. C’erano cinque fratelli a casa ai quali portare un guadagno che consentisse di mangiare e le angurie fruttavano bene. Le curava con amore, pervicacia ed incoscienza giovanile. I tempi erano complicati. Non sembrava troppo sicuro stare in giro di notte, così potevano risuonare minacciose le intimidazioni di cui era oggetto. Per lui erano solo burle. Cose da buontemponi. Gente sfaccendata che si divertiva alle sue spalle.
Così se gli si chiede, se avesse avuto paura, di notte, da solo nella baracca in mezzo alla campagna, con la lupa risponde: “Mée? No!”
“Io? No”. Lo dice di getto. Senza pensare.
Questa generazione è stata testimone di così tanto disagio, bellico e post bellico, da non avere paura di nulla. Il cane era la sua migliore amica: erano inseparabili. Era un cucciolo goffo, con le zampotte e il pelo biondo a incorniciarle il muso, ma era troppo docile: non si faceva sentire. Era un tempo in cui era necessario saper alzare la voce e, se necessario, farsi un po’ giustizia da soli. Un ragazzo solo a fare da guardia a dei campi era una facile mira della malafede di tanti.
Giulio racconta la sua storia in dialetto cremonese, mischiandolo all’italiano, un dialetto che fa respirare la campagna, si sente il profumo della terra, la verità del sudore e della fatica per conquistarsi un pezzo di benessere, il cibo quotidiano, stare in pace con la gente, in un mondo rozzo, che sa essere perfido, o come preferisce ricordarlo Giulio: semplicemente stupido. Lo dice con tono di commiserazione, di resilienza educativa, un profondo senso di saggezza acquisita sul campo: il campo di angurie.
Francesca Codazzi
8 risposte
Ok
Ma finisce così, oppure c’è un libro da acquistare?
Se si, dove posso comprarlo?.Mi piacciono queste storie vere.
Leggendo questo racconto mi viene da pensare che la fragilità che pervade la nostra giovane società, che mostra spesso la sua faccia esprimendosi con toni violenti ed aggressivi, avrebbe bisogno di “ un po’ di fatica per conquistarsi un pezzo di benessere” di sentire “ la verità del sudore” che forse porta ad una saggezza che tanti titoli di studio non conferiscono.
Bel racconto, mi è piaciuto molto.
Forse ora che lo racconta, sminuisce, padrone di sé e forte della distanza temporale da quei momenti.
Sono certa però che a modo suo, Giulio in quei momenti ha anche provato paura. Nell’incoscienza della sua giovane età, da solo, difendeva il sostentamento per tutta la sua famiglia..e ogni mattina, poter vedere il giorno senza che le bullerie si fossero concretizzate, lo rendeva un poco più forte e sicuro e grande.
Giulio rappresenta un’altra generazione che non si ripeterà più.
Il guardiano della “melunera” personaggio pervaso dal senso di responsabilità pur essendo poco più che adolescente.
La descrizione dell’ambiente agreste mi fa pensare alla mia frazione, dove sono nata e vivo tuttora.
L’amore per la propria é dimostrato ampiamente.
La narrazione descrittiva crea lo sfondo più adeguato per capire Giulio.
Viva i cocomeri frutti straordinari dell’estate, per lenire il caldo torrido.
Io credo che la sua paura, Giulio l’ ha tenuta a bada per il suo senso di responsabilita’.
Il bullismo c’ e’ sempre stato.
Sono nata in un quartiere dove da bambina ne ho visto e a volte anche subito. Allora i vecchi li chiamavano delinquenti.
Racconto toccante
Brava Come sempre Francesca.
Francesca… sempre top.
Questo tuo tesoro letterario non può e non deve andare perso. Questo è l’anno giusto per raccogliere la vita che scrivi e portarla ai cuori di tutti. Di casa in casa. Perché la serenità e i ricordi di ciò che scrivi li abbiamo tutti e … ci fa bene distrarci tuffandoci in un mondo che non esiste più. Un abbraccio
Bellissima storia… sembra di esere lì, con Giulio… in mezzo alle lucciole