L’eventuale spettatore di Comedians di Gabriele Salvatores (la trasposizione cinematografica di un testo teatrale scritto da Trevor Griffiths che lo stesso regista aveva curato per le scene) non si lasci ingannare dal nome degli attori, tutti cabarettisti affermati come Ale e Franz e Natalino Balasso, o collaudati attori comici come Christian De Sica. Il film infatti è una commedia sui generis, fa poco ridere, risente fortemente della sua origine teatrale, snocciola diverse freddure a ritmo sostenuto che bisogna cogliere al volo. Per di più, assomiglia maggiormente ad un trattato filosofico (o magari ad un dialogo platonico) sul riso piuttosto che ad un’opera di intrattenimento, capace di intrigare gli spettatori ed indurli ad una franca risata liberatoria.
Il plot si regge sopra una situazione semplice, attorno alla quale ruota tutta la complessa dialettica del film: un gruppo di cabarettisti dilettanti, che svolgono un’umile professione ma intendono fare il grande salto nel successo, attendono la loro occasione nell’aula in cui hanno appreso i rudimenti del mestiere da Eddie Barni, un attore in disarmo (Natalino Balasso) trasformatosi in insegnante: si dovranno esibire in un locale alla presenza di Bernardo Celli, un talent scout alla ricerca di nuovi talenti da lanciare nel suo programma televisivo.
Nell’incontro – scontro fra Barni e Celli, al termine dell’esibizione degli aspiranti attori, si delineano le diverse posizioni in merito al significato e al valore della comicità. Per Barni quest’ultima significa l’occasione per l’essere umano di guardare dentro sé stesso, nella sua zona d’ombra, cogliere e nominare i difetti per superarli: ‘Un comico, quanto è vero, illumina’. Sul versante opposto ed inconciliabile, si pone l’idea di comico prospettata con tronfia sicumera da Celli (un Christian De Sica, nella sua interpretazione forse migliore): una concezione che vede nella risata il divertimento epidemico, il vuoto da riempire, la superficialità di un intrattenimento che aborre ‘la filosofia’, e infine un sostanziale disprezzo per il pubblico ‘ignorante’ (come si dice a chiare lettere) ma che deve essere blandito e ingannato. Tutto questo però, per quanto possa apparire abietto moralmente, porta con sé il denaro e il successo, valori che si lasciano alle spalle tutto il resto.
Decidendo di trasformare in film una pièce teatrale, Salvatores si condanna ad un impegno ingrato, come un pugile che accetta di combattere con un braccio legato. Se la cava bene, girando un’opera intelligente e profonda, in cui risaltano bene le sue scelte a favore di un comico che sia nello stesso tempo un divertimento ed un invito a conoscere sé stessi, Condanna invece, servendosi di un attore che ha costruito la sua carriera proprio su quello, il comico che passa senza lasciare il segno, che si esaurisce nella superficialità e nel dileggio spesso gratuito.
La freddezza del film è compensata dal ritmo che non lascia momenti di rilassamento. La macchina da presa è posta al servizio dei corpi e dei visi degli attori, tutti in parte, con un plauso speciale per Christian De Sica, nella sua ben collaudata maschera di cialtrone.
Vittorio Dornetti