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Conferenza sul clima, gli obiettivi e le responsabilità dei miliardari della Terra

22 Novembre 2022

Con 48 ore di ritardo si è chiusa a Sharm el-Sheikh la 27ª CoP, Conference of Parties (Conferenza delle Parti). Sulle sue conclusioni, questo è stato il commento del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres: «Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un tema che questa CoP non ha affrontato. Un fondo per i “loss and damage” è essenziale, ma non è una risposta alla crisi climatica che spazza via una piccola isola dalla mappa, o trasforma un intero Paese africano in un deserto. Il mondo ha ancora bisogno di un passo da gigante sull’ambizione climatica. La linea rossa che non dobbiamo superare è la linea che porta il nostro pianeta oltre il limite di 1,5 gradi di temperatura».

Benché si sia di fronte a rischi che fanno temere addirittura per la sopravvivenza del Pianeta, questa CoP, la 27ª della serie, ha chiuso i suoi lavori senza un soddisfacente accordo globale. Due le tematiche affrontate: la prima sul risarcimento delle perdite e dei danni, loss and damage, dovuti agli eventi meteo estremi causati dal riscaldamento globale, la seconda sull’inizio della transizione energetica. Se per la prima si può dire che, pur trattandosi solo di un annuncio, è stata presa la decisione di creare un fondo per il risarcimento dei danni (quanti soldi?) a favore di paesi poveri (quali?), per la seconda, anche quest’anno è passato sotto silenzio l’urgente necessità di avviare l’abbandono delle fonti fossili.

In verità, si pensava che non ci sarebbero stati molti ostacoli per impedire un aumento delle temperature, rispetto al 2019, di oltre 1,5° C entro il 2030; di passare cioè dall’attuale modestissimo abbattimento delle emissioni dello 0,3% a un indispensabile meno 43%. Ottimismo mal riposto: il G77, le economie “in via di sviluppo”, non hanno voluto accettare alcun taglio all’impiego delle fonti fossili per il timore di un possibile rallentamento della crescita della loro economia. Si è ripetuto così il consueto copione: “tutto rinviato”.

Impossibile però non ricordare che i primi sei Paesi più ricchi del mondo, Cina, Stati Uniti, UE, India, Russia e Giappone, mentre rappresentano il 62,4% del Pil globale, sono anche responsabili del 68% delle emissioni totali di CO2 e quindi in grado di aiutare quei Paesi del G77 al cambio del loro sistema energetico.

A proposito di dati statistici, si ricorda che, mentre durante la pandemia si sono avuti 573 nuovi miliardari, tra marzo del 2020 e novembre del 2021 i dieci uomini più ricchi del mondo (i signori Elon MuskJeff BezosBernard Arnault e la sua famiglia, Bill GatesLarry Ellison, Larry PageSergey BrinMark ZuckerbergSteve Ballmer e Warren Buffet) hanno visto aumentare il loro portafoglio di una cifra tra i 700 e i 1.500 miliardi di dollari (Fonte: Oxfam).

Difficile allora dimenticare a questo proposito una ammonizione del vecchio segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon: «Non abbiamo un piano B perché non esiste un pianeta B». Un elegante monito che ricorda il più popolare “siamo tutti nella stessa barca”. Ricordo questo che, dati i tempi, suggerisce un sogno: tenuto conto dei ristrettissimi tempi per arrivare al controllo dell’aumento delle temperature, e che alcune fonti scientifiche stimano in sei-sette anni, tutta la categoria dei miliardari della Terra decidono di rinunciare ad almeno un anno dei loro guadagni per favorire l’accelerazione dell’abbandono delle fonti fossili.

Sogno, certo, ma umanamente comprensibile.

 

Benito Fiori

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