Infinità del cielo e infinità dei numeri, la stessa cosa? Sì e no, quindi forse. In ogni caso, quando si maneggiano, bisogna fare attenzione perché sono pericolosi non sapendo con precisione di cosa stiamo parlando. L’universo è un luogo di eventi di inaudita violenza e l’infinito dei numeri fece quasi perdere la testa a un grandissimo matematico, Georg Cantor, che cercò la soluzione estrema ma ottenne solo lo scherno dei suoi colleghi.
Per quanto riguarda i numeri, già Aristotele pose il problema con l’infinito potenziale e Cantor andò oltre con infiniti, a suo dire, sempre più potenti, attuale Aleph 1,2,3,4 etc. sino all’infinito assoluto.
Anche Galileo tentò di trattare il problema. Bonaventura Cavalieri, grande matematico e allievo di Galileo chiese al maestro se una parte dell’infinito dei numeri fosse più piccola dell’infinito stesso. Galileo rispose che quando si tratta con l’infinito la sequenza logica del buon senso non basta più. Ma Galileo stesso andò ben oltre, chiedendosi, data la serie dei numeri naturali, mettendo accanto varie potenze sempre più alte se in tal modo si potesse ottenere veramente una soluzione al problema dell’infinito nei numeri. Non è dato sapere quale fosse il pensiero ultimo del padre della scienza moderna.
Veniamo al cosmo. Quando nelle equazioni compare l’infinito, qualcosa è sbagliato e quindi bisogna eliminarlo perché in fisica l’infinito non esiste. Infatti le gocce dell’oceano non sono infinite così come i granelli di sabbia del deserto non sono infiniti.
Però gli astronomi recentissimamente sono riusciti a sentire la voce, diciamo l’eco o meglio ancora il vagito del big bang, 13,8 miliardi di anni fa, e visto che si parla di nascita vorrà dire che ci sarà crescita e poi la morte. Già, la morte dell’universo: la morte termica è la più probabile. Quando nel cosmo non ci sarà più idrogeno e quindi non nasceranno più stelle, il tutto dovrebbe finire in un colossale buco nero che non più rifornito dovrebbe evaporare nel nulla assoluto.
Per quanto riguarda il vagito del cosmo, già una decina di anni fa, astronomi spagnoli avevano sentito una frequenza oscillante tra 392 e 443 Hz simile alla nota fondamentale del diapason e ad alcune note della chitarra. E quasi 3.000 anni fa, Telete fu il primo filosofo e matematico greco a chiedersi se il cosmo avesse una dimensione. Ammesso e non concesso che potessimo arrivare al confine dell’universo, come dei numeri, potremmo andare un centimetro oltre, oppure aggiungere l’unità. No, è più probabile che verremmo rigettati indietro e quindi dovremmo ripartire da zero. Già lo zero, sconosciuto ai greci e ai romani, così come il numero uno, possiamo elevare entrambi alla potenza più alta che vogliamo, ma sempre tali restano. Allora tutti i numeri dovrebbero incominciare da due? Non diciamo svagatezze.
Possiamo solo illuderci guardando la coppa del cielo blu che in ogni suo millimetro quadrato ci sia il mistero del tutto, così come dentro lo zero e l’uno ci sia il mistero della partenza.
Tutto è illusione, tutto è percezione, nulla è fuori dalla percezione, cosmo e numeri compresi. Ovviamente.
Pietro De Franchi
Una risposta
Bellissimo e affascinante. L’astronomia era da ragazzo una delle materie che più mi piaceva, anche per il fascino “infinito” del Cosmo, e dei suoi misteri, tra cui l’inquietante presagio della sua fine.