Infezione e malattia sono due cose diverse. Può capitare di aver contratto un’infezione senza essersi ammalati (per fortuna). I giornali sembrano non aver ancora capito la differenza, soprattutto quando si parla di covid, tornato alla ribalta in queste ultime settimane di freddo invernale così come accade ormai da decenni per la sindrome influenzale. “Oltre 60mila persone colpite dall’infezione covid nell’ultima settimana, in crescita di quasi il 10% rispetto alla settimana precedente”. Così hanno titolato i maggiori quotidiani nazionali il 22 dicembre riprendendo i dati del monitoraggio registrati dal ministero della Salute e dall’Istituto Superiore della Sanità. Un dato che potrebbe spaventare se letto di fretta. Ma si tratta di casi, di pazienti infetti: non di malati. Va da sé che, per chi si limita alla lettura del titolo, lo spavento è assicurato: forse, è il risultato che si vuole ottenere. Se invece proseguiamo nella lettura dell’articolo, siamo rassicurati sul fatto che l’indice di trasmissibilità (Rt) è sempre sotto la soglia epidemica, e se andiamo a guardare il tasso di occupazione dei posti letto ospedalieri vediamo che in area medica rimane stabile allo 11.8% (11.9% la settimana precedente) e in area intensiva si osserva una percentuale che ondeggia intorno al 3%. Angelo Pan, direttore dell’Unità Operativa di Malattie Infettive della Asst di Cremona, conta una quarantina di pazienti ospedalizzati di cui solo quattro in terapia sub-intensiva (Mondo Padano, 15 dicembre): un dato, questo, che conferma quello nazionale. Peraltro, si osserva a metà mese che la fascia di età che registra il più alto tasso di incidenza è quella degli ultra novantenni, con 237 casi ogni 100 mila abitanti, cui corrisponde una percentuale di ricovero e un tasso di mortalità molto elevati in concomitanza con importanti comorbilità. Se andiamo a vedere i pazienti deceduti su tutto il nostro territorio nazionale, ad oggi sono 425 con un incremento di circa il 30%; ma anche qui dovremmo trovare l’abilità di scremare tra quelli che sono deceduti per covid rispetto a quelli già portatori di una grave malattia metabolica, cardiaca o tumorale: il dato avrebbe un significato diverso.
Dunque, mi domando, dove sta l’emergenza che tanto spaventa i giornali, e che fu dichiarata terminata il 31 marzo 2022?
Marco Cossolo, presidente di Federfarma, ricorda che negli ultimi mesi “le vaccinazioni per covid non sono mai decollate, neanche in farmacia”. Infatti solo l’8% degli over 80 ha fatto la terza dose di richiamo: lontani dunque dai numeri del 2021 e 2022. Non vorrei che questa fosse la vera emergenza, quella legata alle vendite dei vaccini.
Abbiamo più volte cercato di spiegare sulle pagine di questo blog che ogni vaccino copre solo una parte delle varianti, e che questo virus ha la capacità di creare mutazioni con grande velocità. Tant’è che in un passato non così lontano abbiamo osservato che, proprio per questo motivo, la popolazione vaccinata andava incontro a infezione o a reinfezione. Fa bene Pan a ricordare che è in arrivo una nuova variante, JN 1.1, “che sembra ancora più trasmissibile e più capace di resistere ai vaccini” e che in tempi recenti è diventata la variante dominante superando EG.5. In giro per la città trovo ben poche persone già vaccinate pronte per il richiamo, e non solo per il timore di complicanze. “Ma lei, dottore, acquisterebbe un prodotto che non funziona?” mi sono sentito dire da un distinto signore che gli 80 li aveva già visti da mò. Come dargli torto, perché in fondo non è necessario essere laureati in Medicina per capire se una cosa funziona oppure no. Leggo ancora sulla stessa pagina di Mondo Padano che i vaccini sono indispensabili per evitare una saturazione del Sistema Sanitario Nazionale: “Se arriviamo ad avere l’ospedale pieno – osserva ancora Pan – diventa difficile anche gestire poi gli altri pazienti”. Comprensibile, ma se gli ospedali fanno il pieno non credo che la colpa sia tutta da ascrivere a quella popolazione che non si è vaccinata o che non ha fatto richiami. Penso invece ai problemi organizzativi, alla carenza di operatori sanitari e a ritmi di lavoro massacranti per una manciata di euro. Credo allora che una medicina territoriale con servizi che funzionano e con operatori sanitari ben pagati possa fare la differenza evitando di impantanare le strutture ospedaliere per riservarle esclusivamente a quei casi strettamente necessari.
Sia chiaro, nulla contro i vaccini (nel mio fascicolo sanitario personale ci sono proprio tutti, e forse qualcuno in più) ma vorrei stigmatizzare quel modo disonesto di fare giornalismo, quasi da imbonitore da fiera che cerca di appiopparti quel prodotto dalle innumerevoli proprietà che poi si dimostrano fallaci. Sarebbe più onesto che la carta stampata dicesse che “i vaccini di cui disponiamo non garantiscono la totale immunizzazione dalla malattia virale, ma sono il prodotto migliore della ricerca farmaceutica e in questo momento non esistono alternative altrettanto valide”. Così dicendo si fugherebbe il dubbio di un inganno.
La pandemia ci ha dato una lezione sia in termini di politica sanitaria, sia di governance, sia di opportunità/opportunismo di mercato, una lezione forse non così difficile da comprendere, ma non facile da digerire. Per migliorare c’è sempre tempo.
Fernando Cirillo
Una risposta
ottimo