Spettabili autorità civili, militari e religiose, care concittadine e cari concittadini, celebriamo oggi il Giorno del Ricordo, portando attenzione e coscienza su uno dei periodi più oscuri e tristi della storia nazionale, le tragedie delle Foibe e l’esodo dalle regioni di confine. Avvenimenti che, sebbene distinti, devono essere compresi nel contesto più ampio di morte e distruzione che ha segnato l’Europa nella prima metà del Novecento. La memoria di chi ha subito le violenze al confine orientale o l’esodo è segnata dal trauma profondo dell’abbandono della propria terra, con il suo corollario di dolore: la perdita di amici, parenti e persone care e lo shock per la fine traumatica delle proprie certezze. Del proprio lavoro, del proprio mondo, della propria vita. E oggi mi piace avviare il Ricordo a partire dalla figura di Norma Cossetto, Medaglia d’oro al merito civile, giovane donna italiana originaria di Visinada, stuprata ed infoibata dai partigiani titini, alla quale solo pochi mesi fa abbiamo dedicato un’area verde della nostra città, senza esitazioni ed anzi in piena convinzione a fronte del suggerimento pervenuto da parte di alcuni esponenti delle minoranze consiliari. Un piccolo gesto volto al consolidamento di una memoria condivisa che ancora fatica ad affermarsi pienamente nella coscienza collettiva del Paese, dopo decenni di silenzi, imbarazzi, reticenze ideologiche.
Il suo caso è simbolo di tante altre storie tragiche, rappresentative del dolore e della sofferenza che hanno accompagnato centinaia di migliaia di italiani di Fiume, dell’Istria e della Dalmazia in quegli anni cupi, subendo il triste destino dell’esodo, della costrizione all’abbandono della propria terra per il solo fatto di essere italiani, quando non della stessa pulizia etnica messa in atto nel perseguimento di un obiettivo di slavizzazione delle terre mascherato da risposta antifascista. La storia di Norma Cossetto ci spinge a riflettere profondamente sulla cieca violenza intrinseca a ogni guerra o azione violenta e, in particolare, sui danni devastanti che imprimono soprattutto sulle persone più fragili, indifese ed innocenti come le donne ed i bambini, dei quali si calpesta ogni dignità.
Oggi quella storia, riletta in prospettiva e con la sincerità propria del distacco ideologico, può spingerci ad una riflessione edificante sulla questione delle identità ed il rapporto che queste possono generare nella loro reciproca interazione, derivandone come la mancanza di spazio per la diversità possa portare a degenerazioni ignobili, in un confronto tra culture che si trasforma in scontro frontale.
Quella storia insegna oggi, soprattutto alle giovani generazioni, che la tolleranza, il confronto, il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze rappresentano un elemento di crescita in società libere, democratiche e in pace.
I tempi per una memoria condivisa, sincera, priva di rancore ed anzi ricca di umana pietà per ogni vittima innocente del furore ideologico e nazionalista di quel periodo nefasto sono maturi anche in un Paese in cui la faziosità delle appartenenze pare sempre prevalente. Ultimare questo sforzo rappresenta il tributo dovuto alle vittime delle Foibe e delle persecuzioni patìte dagli italiani d’Istria, Venezia Giulia e Dalmazia, ma anche l’investimento necessario in un futuro di pace e prosperità.
Fabio Bergamaschi
sindaco di Crema