Pietro, Domenico, Orazio, Giuseppe, Giovanni, Alfio, Ivan, Daniele, Enzo, Alfonso, Massimiliano, Andrea, Filippo, Massimo, Silvio, Emanuele, Alessandro, Stefano, Marco. Padri, figli, fratelli, amici. Diciannove vite italiane che partirono per garantire la pace, la democrazia e la sicurezza del popolo iracheno e trovarono la morte, tornando avvolte nel tricolore e nella commozione di una nazione.
Solo pochi giorni fa, in occasione delle celebrazioni del Giorno dell’Unità nazionale e Giornata delle Forze Armate, avevo modo di ricordare quanto unanimemente apprezzata nel mondo sia l’opera preziosa, competente e anche ricca di buoni sentimenti che le nostre forze armate sono sempre più spesso chiamate a mettere in campo per la pacificazione degli scenari di conflitto. E’ esattamente ciò che questi nostri connazionali stavano compiendo in quel maledetto 12 novembre 2003, in quella lontana, tormentata terra irachena, alle 10.40 ora locale, 8.40 ora italiana, quando un’autocisterna carica di esplosivo e di odio si scagliava con tutta la sua potenza sulla base Maestrale di Nassiriya.
Il ricordo oggi non può risolversi in un adempimento istituzionale. Deve essere l’occasione per rendere un senso al sacrificio di queste vite spezzate, attraverso l’espressione di affetto, di gratitudine, di ammirazione e di orgoglio di un Paese, che possano bilanciare e anche superare il dolore della perdita, la rabbia per la barbarie del terrorismo, l’amarezza per un mondo che fatica a trovare pace.
La memoria per chi ha dato la vita nell’adempimento del proprio dovere non è, così, oggi un sentimento profondo che appartiene solo all’Arma dei Carabinieri, all’esercito italiano, alle forze dell’ordine, ma a tutte le istituzioni e alla comunità nazionale che, nelle diverse forme, siamo chiamati a servire, provando ad orientare verso il bene il mondo. Convintamente, ostinatamente, anche quando pare volgersi altrove.
Onore ai caduti.
Fabio Bergamaschi
sindaco di Crema