Crema, una poltrona per cinque. E un taglio netto col passato per uscire dal pantano

20 Febbraio 2022

Dopo un tira e molla sul quale per carità cristiana è meglio sorvolare, il centrodestra
candiderà a sindaco di Crema Maurizio Borghetti. Radiologo ospedaliero, vanta un passato politico importante in An e un presente senza tessere di partito in tasca. È stato consigliere e assessore sia in Comune che in Provincia. Navy seal costantemente in prima linea nella guerra contro il covid19, Borghetti si è distinto per la costanza e l’abnegazione nella lotta contro il virus. Tosto come pochi, non ha mai corso per partecipare. Neppure per pareggiare. Dice pane al pane e vino al vino. Il centrosinistra punterà su Fabio Bergamaschi. Giovane d’età, porta però in dote una notevole esperienza amministrativa maturata tra i cavalieri della tavola rotonda al servizio della sindaca Stefania Bonaldi, regina della Repubblica del Tortello ma, per decisionismo e piglio, paragonabile più all’imperatrice Caterina II di Russia che a Re Artù. Educato, eloquio appropriato, look impeccabile, Bergamaschi si presenta bene, caratteristica non secondaria in una città molto borghese, ma non bigotta. Dovrà convincere gli elettori di possedere carisma sufficiente per diventare un leader. Per essere un comandante capace di guidare una squadra che garantisca un futuro non solo alla città, ma all’intero Cremasco. Un condottiero abile nell’interloquire con enti e istituzioni di livello superiore. La sinistra vera e certificata si presenta con Paolo Losco. Può contare su una coalizione composta dalla galassia eterogenea dei duri e puri, spesso fuori dal coro e frequentata da fini analisti dei mali e delle incongruenze della società,
attenti al bene comune, specializzati nello spaccare il capello in quattro e mettere i puntini sulle i. Non gli mancherà il sostegno di qualche ex ribelle scoglionato e deluso dal mondo e dalle utopie dissolte, i Jeffrey Lebowski, i Drugo di casa nostra. Non giocano a bowling, non bevono white russian e non ascoltano The man in me. Preferiscono bicicletta, prosecchino e Ma il cielo è sempre più blu. Non dicono «Questo non è il Vietnam, è il bowling: ci sono delle regole», ma sentenziano «Cazzo, questo è un casino, così non si può andare avanti, si
fottano tutti». A torto, considerati rompipalle per postulato, i bastian contrari hanno più volte mostrato qualità propositive e, in alcune circostanze, supportato con ragioni da vendere la loro scelta di non cantare in gruppo. Di non adeguarsi al pensiero unico e all’omologazione. Losco li rappresenta. È l’alternativa allo status quo. I Cinque stelle scendono in campo con Manuel Draghetti. Forgiato dagli anni trascorsi in consiglio comunale a duellare, non sempre a colpi di fioretto, con il capogruppo Pd, ha interpretato il ruolo di oppositore ficcante e senza sconti con preparazione e coerenza. Davide contro Golia, qualche soddisfazione Draghetti l’ha incassata. Peso leggero, ha mandato al tappeto il peso massimo avversario. Diligente è caparbio, all’occorrenza feroce, il Jason Statham pentastellato, potrebbe sorprendere. Simone Beretta ha annunciato la discesa in campo con una propria lista. Sangue democristiano incontaminato, ex Forza Italia, oggi balla da solo. Entrato in consiglio comunale all’età di vent’anni, è stato l’assessore più giovane di Crema. Ha trovato nell’aula degli Ostaggi il suo habitat ideale e da allora, eccetto i quattro anni dell’amministrazione Giovinetti, non l’ha più abbandonata. Highlander della politica cremasca, ex frequentatore di oratori, emulo di Richard Nixon e Henry Kissinger, che 50 anni fa (21 febbraio 1972) grazie al ping pong fecero breccia nella Cina, Beretta ha indicato nel tennis da tavolo uno dei suoi alleati migliori. «Non giocavo solamente ma vincevo anche parecchi tornei. Solo che io, giocatore di ping pong, quando mi sono presentato alle elezioni ho ricevuto il consenso, mentre gli altri, che non so a cosa giocassero, quando si sono presentati alle elezioni hanno ricevuto pochissimi voti. Forse avrebbero fatto meglio a giocare al ping pong» (Kontatto, marzo 1987). Non è noto se Beretta abbia ripreso ad allenarsi, ma si può scommettere che per la campagna elettorale sarà in perfetta forma, pronto per una schiacciata da urlo. Da sola non basterà per salire sul podio, ma sarà più che sufficiente per preoccupare il centrodestra.

Sono previste, ma non ci sono certezze, una pletora di liste d’appoggio ai candidati sindaco. Non sono indice di maggior democrazia, ma di egotismo di leader di seconda e terza fila. Furbata tattica per raccattare voti in libera uscita, i barchini dei senza fissa dimora e degli aspiranti all’indipendenza dalla casa madre non incantano più nessuno. Creano confusione e cannibalizzano le ammiraglie di riferimento. Le elezioni di Crema sono un test decisivo per il sistema Cremona, inteso come provincia. Se il vincitore avrà una visione territoriale che superi il proprio ombelico, allora si può sperare in un cambiamento decisivo per togliere il nostro territorio dal pantano nel quale sprofonda. In caso contrario, sarà la pietra tombale delle illusioni e l’addio dei sogni di gloria. È necessario un taglio netto con il passato, una discontinuità che favorisca l’unità e rigetti lo scontro pretestuoso. Che intavoli un dialogo e un confronto costruttivo, non di facciata, con i Comuni dell’amebica Area Omogena, ma anche con l’aristocratica decaduta Cremona e la troppo lontana Casalmaggiore. Proseguire con la provincia suddivisa in tre entità autonome, assemblate con filo di ferro e sputo è il modo migliore e ineluttabile di condurre il territorio alla morte per consunzione.

Puntare ad una sinergia tra Cremonese, Cremasco e Casalasco, nel rispetto delle singole peculiarità è il compito affidato ai pubblici amministratori per i prossimi anni. E in questa scommessa il futuro sindaco di Crema interpreterà un ruolo di primo piano. La politica e i partiti s’accollino le proprie responsabilità, ci mettano del loro, collaborino con i sindaci e non deleghino in maniera totale e fideistica ai tecnici e agli studi di società di consulenza la progettualità del nostro territorio. L’unione e il rilancio della provincia non si costruiscono con il mitico Masterplan 3c, santificato da molti, letto da pochi, sconosciuto ai più, costato un pacco di quattrini, pagato da industriali e Camera di commercio, già sorpassato, bisognoso di un aggiornamento e della costituzione di un’associazione temporanea di scopo (Ats) finanziata dai Comuni per implementarlo. È utile, anzi utilissimo, ma non è la pietra filosofale che trasforma una Cinquecento in una Ferrari. Un’armata Brancaleone in una legione romana. Un territorio incerottato e pieno di lividi in un’eccellenza da esporre al Museo della scienza e della tecnica.

Umberto Cabini, ex presidente dell’Associazione industriali, lo ha precisato in maniera sintetica, chiara e inequivocabile. Definitiva. «Se (il Masterplan ndr) è naufragato non è colpa degli imprenditori, ma della politica, che lo ha lasciato decantare troppo, mostrando disinteresse. Oggi andrebbe rivisto e aggiornato. Dopo il Pnrr sono cambiati tutti i presupposti per gli investimenti» (La Provincia, 18 febbraio). Qualcuno lo racconti ai Comuni che hanno già aderito all’Ats e al segretario provinciale del Pd, fiero per la condivisone del Masterplan da parte delle segreterie dei partiti e preoccupato di spiegarlo ai sindaci, non prima, ma dopo averli sollecitati ad approvarlo (Cremonaoggi, 4 febbraio).

Nel processo di rilancio della provincia non possono mancare le associazioni di categoria, i sindacati e gli enti che operano sul territorio, primo fra tutti l’Amministrazione provinciale. Troppi di questi soggetti sono zerbini dei vincenti di turno. Smemorati, dimenticano che
dal cielo si può precipitare agli inferi in un battibaleno. La gloria è effimera e il potere non è per sempre. Esistono associazioni un tempo baricentro dell’impero, ora ai margini, ma convinte di essere ancora la Wanda Osiris da riverire e omaggiare. Ma oggi spopolano le influencer e le soubrette sono un retaggio dell’ancien régime. Ci sono nuovi padroni che hanno pensionato i vecchi. Resta una costante: la nostra provincia è sempre al palo. Le altre corrono. L’elezione del nuovo sindaco delega a Crema la pesante responsabilità di mandare un segnale di cambiamento. Di dare la scossa che smuova la morta gora. Non è prospettiva da poco. Quasi ingrata. Non serve un re travicello. Ma neppure un dittatore. Ci vuole un saggio. Un sarto. Per ricucire.

 

Antonio Grassi

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