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Cremona-Chinatown, sudditi del Celeste Impero

27 Aprile 2021

Felpata ma inarrestabile la Chinatown cremonese avanza, forte di capitali freschi  il cui potere persuasivo affonda come una lama nel burro di una città impoverita e remissiva. E’ infatti possibile che fra Duomo e Ponchielli, nell’ex Ovs di corso Vittorio Emanuele, s’installi un market cinese.   Nel cuore del salotto buono: un bel salto di qualità rispetto ai negozietti di fiori di plastica e sveglie parlanti o ai sedicenti ‘centri massaggi’ piazzati nel prudente anonimato della cintura periferica. Sarebbe, strategicamente parlando, una specie di sbarco in Normandia: decisivo prologo di finale vittoria. E non parliamo dei soli destini cremonesi,  ma di quelli più generali di un Paese che pare perdere giorno dopo giorno quote di proprietà pubblica e privata, sovranità sul territorio e potere decisionale sul proprio futuro. Augurabile che la pandemia finisca presto e il confronto fra gli schieramenti politici, sfrattati dalla bolla protettiva in cui tuttora galleggiano, si riconfiguri come Dio comanda.

Ripartirà col piede giusto e all’altezza che la gravità dell’ora esige?  Fin troppo facile prevedere che quel che s’annuncia come il terzo dopoguerra della nostra storia sarà dominato dalle infinite implicazioni dell’ormai celebre Recovery  plan o, più correttamente, Next Generation Eu. Dizione preferibile perché arriva dritta al punto: il debito d’onore fra il presente e il futuro,  fra noi e  chi verrà dopo di noi. Su due aspetti della questione il consenso – almeno a parole – pare ampio: consegnare al futuro un mondo meno inquinato e meno indebitato.

C’è tuttavia un terzo aspetto che resta defilatissimo, se non completamente taciuto. Proviamo dunque a metterlo nero su bianco nella sua gigantesca portata. Qualcos’altro infatti oltre all’ambiente e alla tenuta contabile va scrupolosamente custodito e sottratto al rischio di barattarlo per il classico piatto di lenticchie. Ed è l’insieme di libertà di varia natura di cui fin qui abbiamo goduto in quanto democrazia occidentale ispirata ai principi liberaldemocratici. Gli stessi che nel secondo dopoguerra ci fecero aderire all’Alleanza Atlantica, un patto non solo militare, ma commerciale, politico, culturale e in senso lato ideale, che univa Paesi diversi ma di sentire  comune sul decisivo terreno delle libertà personali e collettive. I nostri Padri Costituenti, cervelli di cui s’è perso lo stampo, stabilirono fra le libertà personali garantite dalla Costituzione anche quella del diritto alla proprietà privata, un valore sociale di cui, con opportune politiche, garantire l’accesso a fasce sempre più ampie della popolazione. La ragione è ovvia: disporre di qualche bene, lecitamente ottenuto e detenuto, rende il singolo, la famiglia e il tessuto sociale più forti nelle tempeste della vita e ne protegge l’indipendenza dai ricatti e dalle varie forme di soggezione servile cui, inevitabilmente, miseria e bisogno ci espongono. Il boom economico assecondò potentemente questo processo con l’accesso di tanto proletariato alla proprietà e il conseguente approdo  al ceto medio. Oggi sciaguratamente l’impoverimento di massa accelerato dalla pandemia ci sta precipitando in un trend opposto: sprivatizzazioni, tracollo di fortune personali, riduzione di padroni allo status di dipendenti in balìa di precarie sorti. E’ il caso della quantità di negozianti e artigiani  costretti per sopravvivere ad affiliarsi a catene e cartelli da cui ricevono, come stipendiati, compensi drasticamente rimodellati verso il basso dalla selvaggia forza impositiva del mercato globale. Da padroni a servitori spesso malamente inquadrati e sottopagati: ben oltre il piano strettamente materiale, parleremmo di una perdita secca di civiltà. Almeno del tipo di civiltà che come  italiani abbiamo fin qui costruito, conosciuto e goduto.

Modello cinese in agguato? Perché no. Non è un mistero che da anni i 5 Stelle, quinta colonna italiana della Via della Seta, ci sperano. Grillo freneticamente traffica con gli emissari di Pechino. A sua volta Di Majo, volonteroso ragazzo catapultato dal caso in sella a un potere palesemente più grande di lui, non perde occasione per ringraziare la Cina. E di cosa? Di averci impestati, di aver insabbiato la verità sull’origine del virus, di averci inondati di mascherine taroccate, di passare all’incasso del disastro prodotto trattandoci come un supermarket nella stagione dei saldi? Di Battista stesso, in un’esternazione profetica particolarmente penosa, ha informato il pianeta che Pechino vincerà la terza guerra mondiale e, per fortuna, l’Italia ha con la repubblica cinese un ‘rapporto privilegiato’. Sai che piacere essere i prediletti di una dittatura asiatica di stampo comunista. Ma lo sproloquio pentastellato non manca di interna e inquietante coerenza.  Parlare di diritto a un reddito universale dalla nascita cos’altro significa se non spostare l’asse dei nostri valori storici di riferimento? Dall’intraprendenza individuale e dall’orgoglio di mettersi personalmente in gioco  per costruire e diffondere benessere a logiche di passivo attendismo assistenziale da ‘mantenuti’ di Stato. 

Nessuno nega che la Cina sia per noi un ottimo partner commerciale da trattare con la debita attenzione e che in nome dell’interesse nazionale occorra spesso turarsi il naso e stringere la mano a più di un dittatore. Confindustria stessa ha negato fino all’ultimo che esistesse un ‘problema Cina’. E che alcuni fini giustifichino i mezzi persino Draghi, con evidente sofferenza, l’ha ammesso di recente. Ma, a fare la differenza, è appunto la qualità del fine. Partner commerciali sì, servi sciocchi no. Distinzione che negli ultimi tempi non appare chiarissima se oltre a catene alberghiere, complessi industriali, immobili di pregio, bar, tabaccherie, costiere balneari e quant’altro stiamo cedendo al gigante asiatico anche punti strategici vitali come porti e siti sensibili per la sicurezza nazionale. In un’emergenza internazionale che implichi utilizzo di basi militari Nato nei porti italiani che si fa coi cinesi in casa? L’Italia ne ha passate e viste di tutti i colori, ma cavallo di Troia dell’imperialismo asiatico in Europa, questo no. Vediamo di risparmiarcelo.   

Ada Ferrari

Una risposta

  1. Impareggiabile Ada, una penna arguta che con fluida eleganza ci sbatte in faccia la scomoda verità. Solo chi ha costruito un l’indipendenza economica che sta alla base della libertà personale può capire quanto sia terribile il quadro rappresentato. Questo messaggio deve essere diffuso il più possibile e che possa suscitare uno scatto di orgoglio. Buona vita a tutti.

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