Dopo la secchia rapita del Seicento, la vacca scippata del Duemila. Per Cremona è una tragedia. Una folla di vedove furiose si è stracciata le vesti. Forte si è alzato un grido: crolla un sistema. E’ la guerra.
Non tutti hanno gradito il coro di dolore e gli inviti alle barricate contro lo straniero autore dello sfregio. Da una un’esigua minoranza, si è levata una preghiera: basta tritarci le palle con questa storia.
L’annuncio del trasloco della Mostra Nazionale del Bovino da latte in terra bresciana, merita attenzione, disappunto, rabbia e sono condivisibili gli sforzi per trattenere la manifestazione. E’ eccessivo chiamare il popolo a uno scontro di religione, a sfoderare la spada per le crociate.
Insopportabile l’ipocrisia di chi urla allo scandalo ed esorta alla rivolta, ma resta al palo. Armatevi e partite. Fanculo.
Patetici e ridicoli quelli che agitano la scimitarra, senza conoscere il problema. Quelli che, fino all’altro giorno, confondevano la Frisona con la nipote della giunonica tabaccaia dalle tette extralarge di Amarcord. Sarà una risata che vi seppellirà anche se con gli anarchici i quaquaraquà non hanno nulla da spartire.
Tra i più duri, intransigenti e invasati, che al confronto Pietro l’Eremita è una cheerleader di seconda categoria, si leggono nomi che, per restare in campo cinematografico, voi umani non potete immaginare. Parafrasando il Vangelo, padre perdona loro perché non sanno quel che dicono.
Cremona non è solo vacche e affini. E’ molto di più. E’ Arvedi, è turismo, è cultura e tanto altro. Cremona possiede risorse e potenzialità sottostimate o non sufficientemente valorizzate. Cremona non è frisona-dipendente. Cremona è altra cosa.
Il sistema non crolla per l’esodo di qualche centinaio di bovini a Montichiari. Per una passerella di mammelle turgide e da Oscar. Se accadesse sarebbe un sistema assai labile, con scarse fondamenta, costruito sul latte, destinato comunque a collassare. A precipitare nel baratro.
La verità, che non si vuole ammettere, è diversa: si è indebolito un altro sistema.
La Libera Associazioni Agricoltori ha perso la sua storica e indiscussa leadership e il trasloco della mostra ha certificato e reso pubblica questa condizione.
Il re è nudo. Lo si dica senza timori reverenziali o paura dei fantasmi del passato. Il peso specifico della Libera è diminuito e sulla bilancia degli equilibri politici e di potere non è più determinante. E’ ancora autorevole, ma la sua voce è meno ascoltata. Oppure sono aumentati i sordi. Le sue parole hanno ridotto la capacità di sedurre. Se prima il suo verbo funzionava come le note del pifferaio di Hammelin, adesso il suo fascino è stato ridimensionato e la sua attrattiva si è assottigliata.
La Libera non detiene più il monopolio dell’informazione. Non esprime più figure carismatiche. Non svolge più il ruolo di dominus. Non è più egemone.
Al tavolo delle trattive ha ceduto il banco che, è noto, non perde mai. Ora è uno dei tanti giocatori. Con molte fiches, ma la quantità non assicura la vittoria.
Nella partita della frisona è uscita ammaccata. O è stata sfortunata. O i suoi rappresentanti sono stati scarsi. Oppure – è la terza via – gli avversari si sono palesati dei fuoriclasse. Comunque in queste circostanze la sfiga è la giustificazione dei brocchi.
Addossare ad altri le cause della sconfitta è sintomo di poca lucidità o incapacità di analisi. Non capire che la società è cambiata, che le rendite di posizione sono superate e che la competitività è l’arbitro del successo, conduce al declino. Comporta la partenza per altri lidi di una mostra con 68 anni di storia.
Una visione della realtà che non superi l’ombelico non è un buon viatico per restare sulla tolda di comando.
Sollecitare i politici ad assumersi le proprie responsabilità per l’addio delle vacche ed ignorare le proprie non porta lontano. Medice cura te ipsum è un buon suggerimento tuttora valido, ma pare sia sconosciuto a chi non vuole arrendersi all’evidenza dell’accaduto.
La Libera conta ancora molto, ma meno di prima. E’ un dato oggettivo. Può dispiacere, ma illudersi del contrario, non modifica la realtà.
L’addio della miss frisona è un avvertimento. Un sintomo di una malattia subdola e a lungo andare devastante, ma non incurabile.
Il coraggio di ammettere che la fuga delle vacche non è uno scippo, ma un proprio errore, potrebbe essere il primo passo per fermare la decadenza. Bearsi delle medaglie appuntate al petto e non cambiare è l’approccio peggiore per risolvere il problema. Datate, buone per una bancarella vintage, le patacche mettono tristezza. Ah, come eravamo. Ma lo dicono i reduci e i perdenti.