Si discute del progetto da 300 milioni di euro del nuovo ospedale di Cremona. Si dibatte dell’emorragia di medici che abbandonano il Maggiore per svolgere la professione altrove. Si parla di strutture, ma non di servizi. Un presidio sanitario si caratterizza principalmente per le prestazioni garantite e per la professionalità di chi le esegue. Benché siano essenziali, questi due aspetti non trovano spazio nel dibattito aperto dall’annuncio del finanziamento, dato dall’assessore regionale al welfare Letizia Moratti. L’attenzione si concentra esclusivamente sulla struttura come se bastasse un edificio funzionale, dotato delle tecnologie più avanzate a migliorare l’assistenza sanitaria. Che cosa offrirà il nuovo nosocomio? Come si collocherà all’interno della realtà lombarda, considerato che la politica regionale punta a razionalizzare la rete ospedaliera, eliminando doppioni e inefficienze? Le delibere regionali anche recenti riguardanti Cremona e provincia non infondono fiducia nelle scelte future. La battaglia sulla chiusura del punto nascita a Casalmaggiore è stata inutile. Stesso risultato ha prodotto la mobilitazione a suon di petizioni a favore del mantenimento al Maggiore dell’Utin, Unità di terapia intensiva neonatale.
Il 18 gennaio 2020 l’assessore Giulio Gallera confermava alla delegazione di sindaci del Cremonese capitanata dal presidente della Provincia Mirko Signoroni la volontà regionale di non rivedere il declassamento dell’Utin, deciso l’11 novembre 2019, nonostante in casi analoghi a quello di Cremona i reparti siano stati mantenuti. Gallera illustrò anche i criteri decisi per la subintensiva neonatale, una spiegazione che lasciò delusi i rappresentanti locali. In quella sede si parlò anche di strategie: investimenti per il rilancio del Maggiore, pronto soccorso, liste d’attesa e accordi tra le aziende di Cremona, Crema e Mantova in una prospettiva di potenziamento dei servizi. Qualche giorno dopo scattò l’emergenza sanitaria e il confronto terminò.
La sentenza del 6 dicembre scorso del Tar della Lombardia, che ha annullato la delibera regionale di riconversione della Terapia intensiva neonatale dell’ospedale di Rho in reparto sub intensivo, alimenta la speranza di ripristino dell’Utin a Cremona, anche alla luce del progetto di un nuovo ospedale. L’Ordine dei medici aveva evidenziato come Gallera avesse espresso valutazioni critiche ma infondate sull’Unità di neonatologia e patologia neonatale con annessa terapia intensiva dell’ospedale di Cremona, chiusa sulla base di numeri di prestazioni non rispettati da altre strutture lombarde tuttora in funzione. Ciò dimostra che la decisione regionale non è stata tecnica, ma squisitamente politica. E’ stata declassata l’unica Utin presente in provincia. A poco più di un anno di distanza da quella decisione, le gravidanze a rischio e le nascite sono in calo non solo a causa del Covid 19 ma anche per la scelta delle gravide di partorire in altri ospedali.
L’ultimo, significativo atto politico è l’ordine del giorno del 15 gennaio scorso, approvato all’unanimità dal consiglio comunale di Cremona sul ripristino dell’unità di terapia intensiva neonatale. E’ inconcepibile progettare un nuovo ospedale, perciò guardare anche alle prossime generazioni, senza pensare di offrire la migliore assistenza ai nuovi nati, con un occhio di riguardo ai prematuri, cioè ai più fragili. E’ indegno di un Paese civile caricare un neonato su un’ambulanza e trasferirlo a Brescia quand’è possibile curarlo nello stesso luogo in cui viene partorito. Si deve riaprire l’Utin adesso, senza rimandare la decisione a un futuro ipotetico.
E’ auspicabile che l ’emergenza sanitaria porti al superamento del concetto di azienda in campo sanitario, attenta più ai bilanci e ai mattoni che al benessere delle persone.
Una risposta
Il precedente assessore aveva il nome in testa e l’attuale ha già dato il meglio come ministro della scuola, di bene in meglio….