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Cremona, piccoli Comuni pagare e pedalare

16 Aprile 2021

Il quotidiano Bresciaoggi ha presentato con toni trionfalistici il trasferimento della Mostra del bovino da latte da Cremona a Montichiari. Tutti entusiasti, ovvio, nella città della Leonessa, Al coro plaudente si è unito il presidente di Confagricoltura Brescia, Giovanni Garbelli. A beneficio di chi non conosce la vicenda, ricordiamo che il trasloco della rassegna è avvenuto col fattivo coinvolgimento di Coldiretti in tutte le sue articolazioni: nazionale, regionale e provinciale (cremonese e bresciana). Chi non segue le faccende agricole sappia che Confagricoltura controlla CremonaFiere e che sua diretta concorrente è Coldiretti. Alla luce dei rapporti esistenti tra le due organizzazioni, merita una riflessione il fatto che il più autorevole confagricolo bresciano si compiaccia di un successo incassato dai rivali coldiretti ai danni del suo sindacato. Nella valutazione di Garbelli, l’appartenenza territoriale prevale sull’adesione a un partito, inteso in senso lato. Il potenziamento del Centro Fiere Montichiari con l’arrivo di una mostra prestigiosa è preminente rispetto a valutazioni di carattere personale o di parte. Se Brescia e il Bresciano si arricchiscono, tutti i bresciani applaudono. Un comportamento impensabile in provincia di Cremona dove il comune denominatore è la rivalità territoriale che si manifesta tra le persone, negli enti locali, tra associazioni imprenditoriali e ai vari livelli degli organismi che hanno funzioni rappresentative. Prevalgono le spinte centrifughe a scapito degli interessi collettivi e delle considerazioni d’opportunità, com’è apparso nel dibattito sulla riforma Delrio.
Fa comodo credere che Crema aspiri a sganciarsi da Cremona per ragioni storiche. La verità è molto più semplice e, se vogliamo, banale: mancano legami e personalità sufficientemente forti per tenere unito il territorio. Tra i non addetti ai lavori, quanti sanno chi è il presidente della Provincia? Alla sua seconda elezione, avvenuta il 23 novembre 2019 a circa tre mesi dalla prima, Mirko Signoroni, che era stato costretto a dimettersi, viene rieletto con 281 voti; gli elettori sono 1.305, i votanti 291. Non pervenuti 1014 aventi diritto a votare. Ai seggi si presenta il 22 per cento del ‘corpo elettorale’, in calo del 37 per cento rispetto alla tornata precedente. Domanda: chi rappresenta Signoroni? Forse i suoi concittadini doveresi. Di sicuro non i cremonesi, visto che prima di assumere l’incarico di presidente, nella veste di sindaco di Dovera, dichiarò in un’intervista al quotidiano Il Cittadino che ‘se si dovesse rimettere mano ai progetti di aree omogenee e di città metropolitana, Dovera non avrebbe dubbi su dove stare’. Il suo sogno è abbandonare Cremona per unirsi a Lodi. Un’ottima credenziale per fare il presidente della Provincia. Da uno così non ci si può aspettare che lavori per l’unità e la crescita del territorio e tanto meno che abbia l’autorevolezza necessaria a promuovere la collaborazione tra i sindaci di Cremona, Crema e Casalmaggiore e a realizzare progetti comuni. Il capoluogo provinciale va per la sua strada, come ha dimostrato il sindaco Gianluca Galimberti che ha varato il Piano energetico e ambientale senza consultare i suoi colleghi del territorio. Crema e Casalmaggiore fanno altrettanto.
In questo contesto sfilacciato si colloca lo sgarbo istituzionale nei confronti dei piccoli Comuni descritto da Antonio Grassi nell’editoriale pubblicato domenica scorsa. A tutti i sindaci è stato chiesto di sottoscrivere un documento d’adesione ad una associazione temporanea di scopo sull’attuazione del progetto Masterplan 3 C, affidato dall’Associazione industriali e dalla Camera di commercio allo studio Ambrosetti e costato 200mila euro. L’adesione comporta il versamento di mille euro per i Comuni al di sotto dei cinquemila abitanti, di duemila per quelli compresi tra i cinquemila e i diecimila e di tremila per quelli che ne hanno più di diecimila. Il contributo a carico di questi ultimi è di 20 centesimi pro capite mentre per i più piccoli è di un euro. Un’amministrazione comunale con mille residenti pagherebbe 11,6 volte più di Crema e 23,3 più di Cremona. In zona Cesarini, ai Comuni al di sotto dei tremila abitanti è stato fatto uno sconto del 50 per cento. Per la serie: i piccoli paghino e pedalino. Ma la toppa è peggiore del buco. Inutile sottolineare il malcontento generale, rafforzato dal tono perentorio e ultimativo della richiesta di adesione. Non una telefonata, non una riunione per coinvolgere e motivare i sindaci. Non una spiegazione sulle ricadute positive che lo studio avrà o potrebbe avere sui singoli Comuni.                      A questa stregua, perché mai un sindaco a caso, Antonio Grassi di Casale Cremasco, si deve sentire parte attiva del progetto e soprattutto unito a un territorio, quello cremonese, che pretende senza dare nulla in cambio? Sono scarsi anche gli elementi di coesione nell’Area cremasca, ormai omogenea più di nome che di fatto.
Il Pd prova a mettere insieme i cocci con la proposta degli stati generali, un tavolo di confronto permanente tra tutte le istituzioni, le parti politiche e le categorie economiche. Il centrodestra ci sta, pur con le doverose distinzioni. Ma è difficile che dai tavoli esca qualcosa di più concreto del solito ‘bla bla’ se manca la volontà di lavorare insieme.            Intanto, per non smentirsi, la Provincia ignora la questione Fiera, come se fosse appannaggio della sola città di Cremona e non del territorio. Chissà se Signoroni ha mai messo piede a Cà de’ Somenzi.
  

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