In Slovacchia le elezioni sono state vinte dai filo sovietici, così come filo sovietiche sono le autoproclamate repubbliche del Donbass; in Paesi democratici come la Turchia, Stati Uniti, Regno Unito e Ungheria, demagoghi di basso profilo hanno cavalcato un’ondata populista. Il fenomeno è appena cominciato e tutto lascia intendere che continuerà.
Sembra l’inizio di una regressione culturale che, in quanto tale, fa pensare ad un disagio sempre più evidente e su cui dovremmo soffermarci a meditare.
Provando a riflettere, ma col rischio di apparire poco originale, mi viene spontaneo pensare che quanto accade in politica sembra obbedire alla terza legge della dinamica di Newton: ad una azione corrisponde una reazione uguale e contraria.
Quando è crollato il muro di Berlino, il senso di liberazione scaturito dallo scampato pericolo comunista ha permesso al capitalismo di gettare la maschera; sono stati dimenticati sia il pensiero di Adam Smith che i principi Keynesiani; questi ultimi suggerivano l’intervento dello Stato per colmare le lacune generate dalla libera economia.
Altro che Smith e Keynes! La situazione sta prendendo una piega per cui sembrano più verosimili gli scenari preconizzati da Aldous Huxley e George Orwell.
È proprio in un contesto come quello appena descritto che nasce la “reazione uguale e contraria” che spinge a compiere scelte antistoriche (per usare un eufemismo) come la nostalgia del vecchio comunismo o il ritorno ai nazionalismi di ottocentesca memoria.
Platone, (il busto nella foto centrale) nel libro ottavo della Repubblica, afferma che la tirannide è una democrazia degenerata che non pone limiti ai peggiori desideri della maggioranza. E questo spiegherebbe perché il popolo ha sempre inneggiato ai tiranni.
Nell’antica Atene il potere apparteneva a chi fosse in grado di sfruttare la volontà collettiva, facendo leva sulle emozioni; Tucidide descrive il “democratico” Pericle come un uomo abilissimo nel manipolare gli animi dei cittadini; in altre parole allora come oggi, si votava “di pancia”.
La classe politica asseconda i diritti pretesi a gran voce dai cittadini, ma non ricorda loro i doveri, mentre il potere economico, per giustificare le proprie azioni, interpreta a suo modo le parole dello stesso Keynes : “Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto e non mantiene le promesse…ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi.”; cioè la mancanza di modelli alternativi all’attuale sistema è motivo sufficiente per ignorare le istanze “esistenziali” che sono connaturate al genere umano. La politica celebra la propria decadenza, sopraffatta dall’economia, mentre quest’ultima tiene conto solo delle proprie esigenze.
Oggigiorno la ricchezza dei pochi esige il sostegno di una massa amorfa cui non resta che volgere lo sguardo al passato perché il futuro appare come un paesaggio desolato. Mi ostino però a credere che questo scenario muterà perché sarà proprio l’economia ad attuare un profondo cambiamento dopo aver realizzato l’insostenibilità dello stato attuale in cui versiamo.
Giuseppe Pigoli
4 risposte
Sono sostanzialmente d’accordo, precisando, seppure con tardiva pignoleria, che l’attuale declinazione liberista dell’economia, sostanziale causa dell’insostenibilità sistemica, lo è sempre più evidentemente della crisi climatica (https://www.youtube.com/watch?v=GkIcdqcqovs&t=42s).
Perfetto
Buongiorno, più che l’economia – intesa come quella di Smith e della sinergia tra lavoro-prodotto-valore, oggi la natura delle variabili è per lo più finanziaria. La differenza è enorme perchè la seconda è immune alle teorie, monetariste, classiche o liberiste che si voglia legate alla sfera dell’economia reale di produzione dove un mercato – volente o nolente – deve seguire determinate regole. La finanza non distribuisce, accumula e poi, ben forte di una posizione acquisita, decide e impone, non investe il suo capitale, lo sfrutta per spremerne altri. E’ immune a cambiamenti politici perchè, spesso, non riconosce il lavoro come base per creare il valore aggiunto della economia di prodotto, il dumping salariale ne è la prova materiale osservabile ogni giorno. I governanti, spesso, devono solo applicare quei concetti legati alla sfera della finanza, concetti che non sono mai lungimiranti ma rivolti ad una – quasi immediata – ricolloccazione all’interno delle sfera decisionale pubblica. Buona parte dei capitali circolanti di oggi vedono nelle speculazioni; immediate, rapide e voraci, il loro erodersi o moltiplicarsi a seconda di scelte che siano più in linea con la soddisfazione dei detentori “della finanza” che neanche di un elettore. Gli enormi capitali accumulati in pochi anni da alcuni sono la risposta ad una assenza di regole economiche che dovrebbero valorizzare il lavoro non la sostituzione dello stesso, in questo modo il processo di sostituzione di un bene – effimero o meno – fa diventare relativo il lavoro di coloro che lo creano. La desolante visione – di certo realistica e forse solo ancora agli inizi – di un futuro che sembra più da libro che neanche da vivere è la risposta di un percorso che tende sempre più ad aumentare il divario tra quella accumulazione di capitali di pochissimi e l’assenza di una distribuzione (anche senza scomodare Marx) che sia fattiva di un miglioramento del benessere distribuito. Basti pensare al paradosso con cui oggi molti lavoratori lavorano per restare poveri o per finire dentro le statistiche legate alla povertà, un paradosso perchè è un futuro totalmente in contrapposizione a quello del lavoro descritto da Smith.
Grazie per aver approfondito con competenza i miei semplici concetti.