Cibo e territorio sono un’accoppiata vincente, da sempre. La tendenza a riscoprire piatti della tradizione si affianca alla riscoperta del turismo delle radici, che riporta nei borghi e nei paesi d’origine di genitori e nonni, alla ricerca del passato prossimo che in realtà sembra invece lontano, tanto sono cambiate le abitudini e perse le tradizioni.
Anche il diffondersi del cicloturismo e del turismo lento ci riporta a questa dimensione, in fuga dall’overtourism di città sovraffollate o spiagge gremite, scegliendo dei week-end di decompressione a pedalare nella campagna, nelle valli e tra i borghi meno noti e frequentati, ma non per questo meno affascinanti e ricchi di storia. E di buona cucina, naturalmente.
Certo, non è facile trovare ancora trattorie dove il sapore è quello autentico della cucina tradizionale, spesso i locali tendono a uniformarsi nell’aspetto e nei sapori, vuoi per essere più trasversali, vuoi per un’idea di modernità che spesso rischia di cadere nel conformismo.
Certo, non è nemmeno facile trovare cuochi e personale formati e preparati sui piatti più poveri e della tradizione, perché i piatti dei nostri nonni non nascevano dalla voglia di sperimentare nuove ricette, ma dall’esigenza di riuscire a mettere in tavola pranzo e cena decenti per la famiglia.
Soprattutto in un Paese come il nostro, dove basta spostarsi di qualche chilometro per trovare pietanze, tradizioni, culture culinarie diverse e caratteristiche.
Ed ecco allora che entra in gioco la cultura stessa dei territori e la conoscenza delle ‘radici’ dei piatti che si intrecciano con quelle degli uomini e delle donne che hanno vissuto su quelle terre.
In fondo In fondo il cibo è cultura e oggi possiamo dire che questa riscoperta della cucina locale e del turismo lento sono un fenomeno associabile ad una certa stanchezza nei confronti di un modello sociale basato sul cibo industriale e sul fast food, di scarso valore nutrizionale e decisamente poco salutari. Ma anche verso esperienze conformate e consumistiche.
Possiamo dire che si tratta di un nuovo trend e come tale quindi qualcosa di moderno. La cucina tradizionale e local quindi è modernità.
Sembra una contraddizione nei termini, ma se pensiamo che i nostri nonni mangiavano piatti poveri per necessità e perché non avevano scelta, mentre noi oggi abbiamo talmente tanta scelta che ci ha stancato e sentiamo il bisogno di tornare alle pietanze dimenticate.
Allo stesso modo, le vacanze nei luoghi di villeggiatura di maggiore richiamo sono state un momento di affrancamento per la classe lavoratrice abituata alle rinunce e che finalmente poteva permettersi di girare in auto, mentre oggi è trendy andare in bici in territori poco frequentati.
Ed ecco che il territorio, quel mondo fatto di tante miniature, di piccoli borghi caratteristici, di sagre, tradizioni, piatti tipici, storia e storie, all’improvviso diventa il centro dell’interesse di uno storytelling che fino a ieri ci proponeva soluzioni patinate e ‘in’.
La speranza è che nel frattempo gli amministratori di questi territori che per anni sono stati fuori dai radar e che quindi hanno perso interesse e sono spesso si sono spopolati, hanno perso servizi e hanno visto il loro tessuto sociale smagliarsi giorno dopo giorno, ecco, come si diceva, la speranza è che chi amministra queste località ne capisca le ritrovate potenzialità e le sappia sfruttare.
Mettendo a sistema tutti gli attori (enti, residenti, stakeholder, associazioni,…) in grado di dare slancio alle realtà locali attraverso un percorso che passa dalla conoscenza profonda ad un vero e proprio branding del territorio.
Un po’ come facevano le nostre nonne che, per mettere in tavola una buona cena, cucinavano con passione e con tenacia quei pochi ingredienti che la dispensa aveva a disposizione.
Se ti interessa approfondire temi di valorizzazione e comunicazione del territorio, visita il sito Michela Garatti – La Forza delle Parole
Michela Garatti