Il 26 agosto del 1978 centoundici cardinali si riunivano in conclave per eleggere il successore di Paolo VI, in uno dei momenti più delicati della Chiesa e in un contesto estremamente drammatico per la Repubblica italiana.
Dopo una lunghissima ed estenuante malattia era morto uno dei papi più importanti del ‘900, l’intellettuale bresciano prestato alla Diplomazia vaticana che fu anche Arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini, al secolo papa Paolo VI.
Aveva chiuso il delicatissimo Concilio Vaticano II aperto dal suo predecessore Giovanni XXIII, con immane fatica e complicatissime conseguenze, nel 1965. Aveva affrontato i moti del 1968, le stragi e i presunti e/o tentati colpi di Stato, il referendum (perso) sul divorzio e il “fumo di Satana entrato nel Tempio” come ebbe proprio lui ad affermare riferendosi al clima della Chiesa dopo il Concilio; aprì il pontificato ai pellegrinaggi in tutto il mondo, in onore al nome scelto e all’altro ministero papale, quello paolino appunto, l’apostolato delle genti e fu il primo papa a tenere un discorso (in perfetto francese) alle Nazioni Unite a New York.
È stato il primo vero papa “mediatico”, intellettuale finissimo, collezionista d’arte ed anche grande appassionato, esperto (e interlocutore severo) della politica italiana.
Gli ultimi mesi del suo pontificato furono tristi e tragici, tanto da fargli guadagnare dai maligni l epiteto di “Paolo Mesto” anziché Sesto. Una lunghissima ed estenuante malattia lo aveva lentamente logorato nel corpo e nello spirito, assieme ad uno dei più grandi e discussi drammi della nostra Repubblica: il rapimento e la uccisione di Aldo Moro, di cui Montini era oltre che amico mentore.
Fece di tutto per salvare il Presidente della DC ostaggio delle BR: si offrì come ostaggio di scambio, li riconobbe pubblicamente e arrivò addirittura (si dice…) a raccogliere 20 miliardi di lire di allora quale riscatto, causando le ire dei militari e dei dirigenti democristiani che già vedevano le BR diventare con quella somma un esercito parastatale che ci avrebbe portati alla guerra civile.
Epilogo drammatico e surreale di quella vicenda sono certamente i funerali di Aldo Moro celebrati dal Papa in diretta televisiva davanti a tutte le gerarchie repubblicane, con due non secondarie particolarità: il papa di prassi non celebra mai funerali, e soprattutto mancava la salma del defunto, revocata dai familiari di Moro da qualsiasi cerimonia pubblica.
Ma in fondo forse non poteva che essere così: lui che fu il papa della massima intellettualizzazione della Fede finì immortalato in quella che era la estrema intellettualizzazione di un rito funebre dovuto alle conseguenze dell’estrema intellettualizzazione della politica.
Fu anche il papa dei guai finanziari della Santa Sede: in viaggio nelle Filippine fu salvato da una coltellata dalla prontezza di mons. Gorilla, come fu poi battezzato il prelato di Chicago Paul Marcinkus che gli stava accanto. Tale e tanta fu la fiducia (e forse la riconoscenza) che il Papa lo fece arcivescovo e gli affidò il risanamento delle finanze vaticane, un pasticcio iniziato negli anni ’50. Lo Stato Vaticano possedeva partecipazioni azionarie in alcune imprese italiane non più in buone condizioni e cercava pertanto di uscirne tentando di recuperare più denaro possibile: per quel compito venne scelto il più grande finanziere italiano di allora, Michele Sindona, e appunto il fidato guardaspalle del Papa, Marcinkus.
Ma le cose non andarono come previsto: la cessione delle partecipazioni si complicò, causando perdite non previste e costringendo i due a rivolgersi a David Kennedy, il grande banchiere di Chicago socio di Sindona e amico personale di Marcinkus, che divenne poi nientemeno che ministro del Tesoro di Nixon.
Da qui in poi la vicenda si complica oltre ogni immaginazione, venendo consegnata non alla Storia ma alla mitologia documentaristica: i soldi iniziano a passare di mano in mano, da buco a buco, da un continente all’altro nei tentativi di recuperare l’iniziale denaro del Vaticano che andava semplicemente tolto dalle aziende in perdita. Da lì in poi successe di tutto: Calvi e la Banca Ambrosiana, la mafia, la CIA e i finanziamenti mai restituiti ai regimi filoamericani del Sudamerica, i conti aperti nei paradisi fiscali, giri enormi di denaro che passano per i conti protetti della Città del Vaticano fino ai tragici epiloghi che ben conosciamo e che avverranno dopo la morte di Paolo VI: Calvi e Sindona suicidati o uccisi, Ambrosoli freddato sotto casa e molto altro ancora…
Insomma, questo era il clima in cui Paolo VI veniva chiamato alla Casa del Padre e al suo posto, in un Conclave ancora oggi assai discusso in cui si scontravano all’ultimo voto i conservatori di Siri coi progressisti di Benelli venne eletto il più improbabile degli uomini di governo in quel momento così delicato: il mitissimo patriarca di Venezia Albino Luciani, che scelse una volta eletto il nome dei suoi due predecessori così illustri: Giovanni Paolo.
Pilotó la Nave di Pietro per soli 33 giorni, gli stessi anni di Cristo in Terra, quando venne stroncato da un infarto nella notte del 28 settembre, primo dei tanti infarti sospetti che negli anni a venire colpiranno i protagonisti della vicenda finanziaria sopra citata. Proprio lui, papa Luciani, che aveva un conto in sospeso con Marcinkus e Calvi per la chiusura della Banca Popolare del Veneto, una delle tante prepotenze finanziarie perpetrate in quegli anni per rincorrere guai che generavano altri guai…
Un vecchio cardinale di Curia ebbe a dire in quei giorni al più grande vaticanista di sempre, Benni Lay, che quella morte era stata un severissimo monito a tutti gli elettori del papa, che rientrati in conclave scelsero stavolta un giovane ed energico cardinale polacco, lo sconosciuto Karol Woytila.
Ma questa è un’altra storia…