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Dai cipputi del Pci al Pd, Partito Democratico con probabilità di default

15 Gennaio 2023

PD acronimo dalle molteplici declinazioni. In chimica Palladio. In geografia Padova. In politica Partito democratico. In economia Probabilità di default, concetto che può essere esteso anche alla stessa politica.  PD, Partito Democratico con Probabilità di Default, ipotesi non da fantascienza. Le radici della crisi risalgono tra la fine del secolo scorso e l’inizio dell’attuale.  Un’icastica e impagabile vignetta di Tullio Altan raccontava già allora la storia di oggi. «Siamo sempre in mezzo al guado, Cipputi». «È che spostano l’altra sponda, Bisnaghis».

Il Pd non era ancora Pd e il Pci, suo antenato e più grande partito comunista dell’Europa occidentale, aveva già modificato nome, prima tappa di una metamorfosi che lo avrebbe condotto all’assetto odierno. L’altra sponda evocata da Cipputi si è convertita in miraggio e ossessione.  Il cammino, da sinistra al centro, è diventato un incubo.  Il guado un vortice.  Ha risucchiato energie e provocato divisioni, spaccature. Ha ridotto il numero degli iscritti e minato la loro fiducia nei propri dirigenti.

La società si è trasformata. I Cipputi in tuta blu e le mitiche masse sono quasi scomparse, sostituite dai nuovi soggetti, più istruiti, più predisposti all’indipendenza di pensiero, che alla fede cieca nei vertici del partito. Meno ideologici e più fluidi, poco attenti al bene comune sono più interessati alle poltrone e alle prebende che al dibattito politico.  Critici e nient’affatto militonti, più inclini al baratto che al volontariato, gli ultimi arrivati mirano ad essere i primi della scala. Sgomitano e cancellano il passato. La storia.  Smanettano sul computer e si fanno di social. Dissentono e contestano i capi. Incazzati e poco pazienti, chiedono tutto e subito, binomio che in politica è difficile da conciliare e il partito sprofonda.

Né carne, né pesce, né di sinistra, né di centro, il Pd è un pastrocchio. Dismessi gli abiti operai, ora veste con giacca e cravatta o casual griffato.  Adotta lo stile dei brand manager e dei tecnocrati e dimentica l’anima popolare. 

Alla chiave inglese e al tornio sostituisce gli algoritmi. Invece di confrontarsi con la gente, fino al alcuni anni fa chiamata base, che come tutte le basi regge la costruzione, consulta sondaggisti, maghi e imbonitori del terzo millennio. Alle elezioni i suoi candidati incontrano imprenditori e rappresentanti delle categorie economiche. Snobbano i gregari, coloro che  tirano la carretta e la lima da mattina a sera per poco più di una mancia.  

Il Pd raccatta il consenso nei salotti buoni e nei centri storici, lo perde tra i ceti popolari e nelle periferie. I nuovi ingressi non coprono le defezioni e il bilancio elettorale è in profondo rosso, indicatore di uno stato di salute precario. E poco importa che, fino all’altro ieri il rosso identificava il Pd. Le mode evolvono e oggi il partito viene abbinato al grigio.   

Dead man walking sul miglio verde che precede la camera dell’esecuzione, il Pd confida di evitare la fine con un nuovo segretario da eleggere il mese prossimo, ma resta un pio desiderio se non muta pelle.

«Mamma diceva sempre: devi gettare il passato dietro di te prima di andare avanti». Con Forrest Gamp ha funzionato. Il Pd deve decidere.

Non può stare in un bordello senza rinunciare alla pretesa di essere diverso dagli altri frequentatori. Rivendicazione forse plausibile e giustificata nel giurassico, improponibile adesso.  E la politica italiana è riconosciuta una grande, immensa casa di tolleranza.  Una corte dei miracoli con un florilegio di escort, cicisbei, mezzani, paraculi, saltimbanchi, prestigiatori, illusionisti e di questo ambiente il Pd è uno dei protagonisti e non può invocare alcuna immunità. 

Rimossa l’intervista (La Repubblica, 28 luglio 1981) di Enrico Berlinguer rilasciata a Eugenio Scalfari sulla questione morale, il Pd insiste nel considerarsi partito integerrimo, di origine controllata e di categoria superiore rispetto agli altri. Scorda la mutazione genetica da lui stesso voluta, cercata e perseguita con pervicacia che, nel corso di questi anni, lo ha omologato agli altri. Omologazione che fatti e atteggiamenti confermano e certificano.

Stefano Bonaccini aspirante segretario del partito, in visita a Cremona ha capito l’antifona e non ha esitato a dichiarare: «Togliamoci la puzza sotto il naso. Non siamo moralmente superiori a nessuno. Magari diversi, questo sì». (La Provincia, 12 gennaio).

Ma diversi in che cosa? È il busillis, il groppo da sciogliere e il belletto non aiuta nell’impresa.  Camuffarsi per quel che si vorrebbe essere e non si è, funziona il tempo di una festa o di una cena.  Poi il trucco si sfalda e il castello crolla. Il Pd usa il make-up in maniera massiccia e rende felice il Polo della cosmesi Cremasco. Un po’ meno la politica. 

Nella nostra provincia dove sta e come si concretizza la presunta diversità dei piddini? Ah saperlo. Negli ultimi anni, a memoria, non si ricordano interventi, documenti, interviste della segretaria provinciale Pd degni di nota. Qualche dichiarazione. Niente di consistente. Nulla di sconvolgente.  Sul futuro ospedale di Cremona, ottava meraviglia del mondo, il Pd ha traccheggiato e traccheggia. Favorevole e via andare.    Sul nuovo ponte della Paullese sull’Adda a Spino non è andato oltre qualche monosillabo. Amnesia e buio per il prolungamento della metropolitana meneghina fino a Paullo e chissenefrega se sono opere fondamentali per migliorare i collegamenti dell’intera provincia con Milano.

Le interviste all’ex parlamentare ed ex sottosegretario Luciano Pizzetti, ancorché autorevoli, interessanti e fonti di spunti di riflessione, non compensano il silenzio degli organismi ufficiali di partito e non giustificano la loro latitanza.

Il Pd ha manovrato per portare Mirko Signoroni, sindaco di Dovera, alla presidenza della nostra provincia. Per riuscirci gli elettori sono stati spediti alle urne due volte, causa una irregolarità nella prima consultazione, protagonista lo stesso Signoroni e il Pd che lo aveva proposto.  Una figura barbina che ha reso pubblica l’inefficienza organizzativa del partito noto, prima di questo scivolone, per la precisione svizzera e l’efficienza teutonica. Ma tutti i responsabili della Caporetto sono rimasti al proprio posto. 

Bravo e onesto amministratore pubblico, Signoroni, che non è mai stato di sinistra, governa un Comune confinante con Lodi.  Tra il Fanfulla della disfida di Barletta e il liutaio Stradivari non ha mai nascosto di preferire il primo e in caso di scelta tra sedersi in riva al Po o sulla sponda dell’Adda non avrebbe esitazioni a optare per la seconda.  Alle prossime elezioni regionali si candiderà con il Terzo Polo che sostiene Letizia Moratti.  La signora è stata vicepresidente della Regione Lombardia, nominata dal governatore leghista Attilio Fontana, il 12 febbraio suo avversario. Nel suo curriculum anche un passato da ministro dell’Istruzione nei governi Berlusconi 1 e 2 e pure un’esperienza da sindaco di Milano per la Casa delle Libertà.  Signoroni sta con la Moratti. Il Pd gli regge il moccolo in provincia. Signoroni ringrazia. E sorride sornione. Il Pd alza le spalle. Che vuoi di più dalla vita? Un Lucano.

«Un giornalista invitò una volta a turarsi il naso e a votare Dc. Ma non è venuto il momento di cambiare e di costruire una società che non sia un immondezzaio?». Evidentemente per il Pd di Cremona il momento non è ancora arrivato. Berlinguer che ha posto l’interrogativo può attendere e ha l’eternità a disposizione.

Spaziale e da standing ovation il doppio salto mortale all’indietro con triplo avvitamento di Piefrancesco Majorino, europarlamentare Pd e candidato alla presidenza della Regione. Giunto a Cremona per il tour elettorale, durante l’incontro con i rappresentati del mondo economico cremonese, nel passaggio sulla questione dell’autostrada Cremona-Mantova ha dichiarato: «Di certo, sul tema delle infrastrutture a servizio di questa parte della Lombardia non staremo fermi, come invece hanno fatto per decenni le amministrazioni di centrodestra; del caso specifico parleremo, prendendo in considerazione anche eventuali alternative (credo che il minor consumo possibile di suolo costituisca un obiettivo generale condiviso da tutti), e poi prenderemo una decisione». (La Provincia, 13 gennaio).  Majorino è favorevole all’autostrada, ma non lo può dire. I suoi alleati 5 Stelle non la vogliano. Distillato di politichese meriterebbe un commento, ma si rischierebbe l’accusa di maltrattare un bambino o di sparare sulla Croce Rossa. Ma nessuno del Pd cremonese ha avvertito Majorino che, per dirla con Toto, «Cca nisciuno è fesso»?

I pochi vecchi e i tanti nuovi Cipputi possono incazzarsi o prenderla con filosofia e dire come il loro capostipite: «Sono ottimista. Il bicchiere lo vedo mezzo pieno. Di merda». Poi mettere le cuffie, ascoltare Hotel California degli Eagles e sognare. E Dimenticare il Pd, Partito Democratico con Probabilità di Default. 

 

Antonio Grassi

Una risposta

  1. Magnifico il riferimento a Cipputi, anche se credo che sia poco comprensibile alla attuale generazione. In tema di citazioni ed a proposito del nuovo corso si potrebbe citare anche Michael Ende con il “nulla che avanza”. Forse più proiettato al futuro.

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