Nessuna “commemorazione”, come si suol fare, a cent’anni dalla nascita di un “maestro di vita, ancorché più che di filosofia”.
Patrizia de Capua si smarca dalla consuetudine e lo fa con un colpo d’ala: gioca la carta di Platone e fa del suo maestro l’interlocutore di un dialogo alto, palpitante di passione per la verità. Lo resuscita, in altre parole, come Platone ha immortalato Socrate.
Eccolo il suo prof in atteggiamento di chi ascolta (“oggi nessuno sa più ascoltare”), di chi interroga, di chi dialoga, di chi non si stanca di ricercare.
È proprio lui.
Eccolo alla sua scrivania con pile di libri che a fatica resistono alla legge di gravità. Eccolo col suo temperamento fiero e insofferente verso i pigri in spirito, col suo carattere “alieno da ogni sorta di fanatismo”.
Ecco l’uomo che si concede “il piccolo lusso di coltivare fiori delicati e piante generose” e amante di tutto ciò che è bello: dalla poesia alla musica, dal cinema alla fotografia.
Ecco l’uomo ed ecco l’uomo di cultura che rinuncia alla sua carriera universitaria perché non vuole rinunciare alla sua funzione pastorale.
Un pastore capace di inventarsi “qualsiasi cosa pur di soccorrere gli ultimi, i diseredati, i senza voce, i reietti, i fragili emarginati” e che si mantiene sempre “in equilibrio fra condanne savonaroliane e condiscendenza verso la secolarizzazione”.
Eccolo: don Agostino Cantoni: un figura carismatica, anche se senza l’aura di un vate. Patrizia de Capua, da ex allieva si fa interrogare, ma nello stesso tempo si confronta col suo prof alla pari, attingendo ambedue alle sorgenti della sapienza antica e a quel “gesuita proibito”, Teilhard de Chardin (a lungo studiato da don Cantoni), lo scienziato/filosofo/teologo/poeta che ha provato a elaborare una superba sintesi tra evoluzionismo e teologia, stando alla larga da ogni dualismo filosofico e in particolare dagli opposti errori del “materialismo” (“che crede che l’Uno sia composto dal Molteplice e si concentra sull’analisi offuscando la sintesi”) e dello “spiritualismo puro” (”che nega l’omogeneità del reale, trascurando i legami”).
Temi forti. Il tempo? La cosa più preziosa che ci sia, l’unica secondo Seneca “di cui la natura ci ha fatto padroni”. La sapienza filosofica? Senza la poesia, “genera narcisismo e supponenza”. I cuori quieti? Meglio le acque agitate “dove costa qualche sacrificio remare contro corrente”. L’“eterno femminino” di Teilhard de Chardin? Un’occasione per ripercorrere la figura della donna in tutte le espressioni culturali: dal mito di Antigone, a Beatrice della Divina Commedia, da Margherita del Faust alla Vergine velata dello scultore Giovanni Strazza fino a Madre Teresa di Calcutta che ha lottato per i deboli, i malati, i poveri, i dimenticati della Terra (“eterno” nel senso di “qualcosa di assiologicamente pregevole, qualcosa che viene percepito come valore nel corso dei secoli”, giusto come i miti di Antigone, di Medea, di Prometeo, di Ulisse…).
Un dialogo con cui l’ex allieva aggiorna il prof sugli sviluppi in corso della tecnologia digitale, a partire da quel dispositivo, il cellulare, che “ci consente di essere collegati con i luoghi più lontani nel mondo, ma ci allontana dal nostro prossimo”, che “ci cattura con il suo canto delle sirene che abbraccia l’universo, ma ipnotizza l’individuo imprigionandolo nel proprio limitatissimo raggio di luce”, come lo aggiorna sul maldestro tentativo di due autori francesi (Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonassies) che pretendono di dimostrare Dio con prove scientifiche: un successo editoriale, sì, ma un vero e proprio “fuoco di paglia”.
Un “dialogo” che ci tocca da vicino e magari ci interroga.
Ci interroga sulla nostra assuefazione rassegnata allo status quo, sul nostro tasso di indifferenza nei confronti delle ingiustizie sociali.
Ci interroga sulla nostra colpevole “ignoranza del dolore del prossimo”, sul nostro essere prigionieri delle sirene dei social, sul nostro non essere in grado, schiavi del “presupposto di conferma”, di metterci dal punto di vista di chi abbiamo bollato come “nemico”.
Un dialogo “appassionato” sulle grandi sfide del nostro tempo in cui l’umanità è smarrita, angosciata, incapace di intravedere, dopo la notte, l’aurora.
Un dialogo che si chiude con un guizzo letterario di forte intensità emotiva.
“Fuori c’è buio e tira un vento turbinoso. Ho ancora sete di risposte alle domande che mi affiorano alla mente nel confronto con chi mi ha insegnato tante cose, con tanta energia, animato dalla passione di chi ama l’essere umano, specie se fragile. Vorrei restare fra quei libri, sotto la lampada che proietta un cono di luce calda e dorata. Qui sembra di essere in salvo dal tempo che tutto divora. Quelle carte, quei quadri, quelle fotografie parlano di un’esistenza spesa bene, a favore del prossimo, in sintonia con la terra, con le piante, con gli altri animali, come nel Cantico delle creature. Mi sembra di respirare l’aria calda e secca di Patmos, dove San Giovanni trovò refrigerio nel Monastero dell’Apocalisse. Ma il don mi accompagna alla porta e mi congeda con un gesto inequivocabile.
– Non potremmo parlare ancora un momento?
– Fra poco ci ritroveremo qui e parleremo a lungo. Ciao.”
Piero Carelli
L’eterno femminino
Agostino Cantoni studioso di Teilhard de Chardin
autrice: Patrizia De Capua
(Farina Editore, Milano 2024)