Il 10 luglio 1944 anche l’edificio di porta Milano, posto nei pressi della Stazione Ferroviaria, nel quale i miei genitori, da poco sposati e già in attesa del sottoscritto, avevano affittato un alloggio, fu demolito nel corso del bombardamento. Essendo entrambi al lavoro (mio padre, scampato dalla disastrosa campagna di Russia, aveva ripreso il suo lavoro di medico tisiologo presso il Sanatorio di via Milano e mia madre, incinta dello scrivente, aiutava la sorella nel laboratorio di sartoria che questa da tempo aveva collocato in via Monteverdi, laboratorio che si trovava proprio a quattro passi dalla lussuosa residenza che Farinacci si era da poco realizzata nel palazzo del Regime Fascista, si salvarono tutti e due. Quando la sirena avvisò i cremonesi che il bombardamento era terminato, mia madre, come tanti altri, uscì in strada e vedendo il nuvolone di polvere scura che si era sollevato nella direzione della Stazione, intuendo la mala sorte toccata al suo alloggio da poco attrezzato, si lasciò sfuggire una frase disperata (“Signùur, la me cà”!), frase che non sfuggì all’attenzione di Farinacci, sceso anche lui in strada, che cercò di tranquillizzarla, promettendole, nel caso che l’intuizione di mia madre si fosse purtroppo rivelata corretta, ogni possibile aiuto. I miei genitori, anche perché entrambi da sempre antifascisti, preferirono invece “sfollare” a Monticelli d’Ongina, dove il sottoscritto nacque, un mese dopo, in una stanza collocata sopra il laboratorio artigianale di mio zio ciabattino. Anche per questa particolare ragione personale sono particolarmente sensibile alla triste ricorrenza cremonese del 10 luglio.
Michele De Crecchio