Cremona ha un problema. La politica è un ectoplasma. Il dialogo è assente. Il confronto è un ologramma. La dialettica è virtuale. Scalzato da stakeholder, tra i quali i cittadini non compaiono, il bene comune non è più punto di riferimento imprescindibile di coloro che governano il territorio. Dalla politica il pallino è passato alle associazioni datoriali e ai dirigenti e burocrati di aziende pubbliche, che di pubblico tengono solo l’imposizione statutaria e una risicata maggioranza azionaria. Le prime, si preoccupano di sostenere le ragioni dei propri iscritti. Le seconde, s’ingegnano a presentare fatturati stratosferici e a distribuire dividendi ai soci. In cambio, associazioni e aziende – nel pieno rispetto di leggi e norme – garantiscono a segretari di partito e pubblici amministratori investimenti, posti di lavoro, sponsorizzazioni. Visibilità sui media da loro controllati. Aiuto nella costruzione del consenso, linfa vitale per i concorrenti ad un ruolo politico.
Con i partiti in uno stato comatoso, tremebondi e cacadubbi, privi di leader credibili e aggreganti, le associazioni datoriali e le società si muovono in una prateria con pochi intralci e tanti vantaggi. Vincono facile. Sono la nuova nomenklatura di casa nostra. Costruita sul business, assomiglia a un club per affari e appalti, binomio che non è illegale e neppure disdicevole, ma non terapia per rilanciare il nostro asfittico territorio.
È la nomenklatura nata della sconfitta della politica e dalla crisi dei partiti. Legittima e legittimata, considera la cosa pubblica né un valore, né un punto di riferimento, ma veicolo per leciti interessi. Il bene comune è opzione, opportunità, aggancio, passpartout per rimuovere ostacoli ai propri progetti. Scusa da utilizzare in caso di difficoltà.
Procedura ratificata dal silenzio di quei partiti che ancora contano, è la via cremonese all’oligarchia strisciante di una provincia alla deriva in un mare agitato e ricco di insidie.
E la voce degli ultimi mohicani cocciuti, contraltare ai padroni del vapore, si perde nel rumore dell’informazione di regime. Si declassa e si autoesclude per la scarsa capacità di comunicare. Si vanifica per i pregiudizi ideologici e la ghettizzazione preventiva operata da coloro ai quali si rivolge. Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.
Tolte alcune eccezioni di società locali, ma di rilevanza nazionale e internazionale, la nomenklatura non esibisce personaggi epici. Priva di fascino e ideali, è anonima e anemica. In mano non tiene l’asso di briscola. Neanche il fante. Nel suo catalogo le stelle polari sono una rarità. Abbondano le cadenti. Miscellanea di soggetti diversi per origini, cultura, ceto, la nuova nomenklatura è amalgamata e coesa dalla convinzione d’essere la via, la verità e la vita del nostro territorio. Non ancora Gesù Cristo. Un po’ meno, ma non tanto. Solo un filo.
Nomenklatura di paese, i suoi membri distano anni luce dal cinematografico e spietato petroliere Daniel Plainview e dal letterario e dickensiano Benezer Scroog, capitalista bastardo che si redime a Natale.
È un pot-pourri non eccelso. Tanta spocchia e una discreta dose di tracotanza. Il ridicolo in agguato dietro l’angolo. La Walk of fame delle vacche manifesto programmatico. Il Masterplan, il fallimento certificato. Con la nuova nomenklatura il pensiero unico ha sostituito la dialettica, ma ciascuno può esporre le proprie idee, purché coincidenti con la narrazione da lei imposta.
La critica è bollata piagnisteo, disfattismo, oscurantismo in funzione del fastidio procurato. Non disturbate il manovratore è l’imperativo categorico al quale attenersi. I dissidenti sono, tout court, un manipolo di teste di birillo, oggetto che richiama una parte anatomica maschile.
Il sogno delle associazioni datoriali e delle aziende è l’omologazione. Il piccolo cabotaggio. I loro rappresentanti aspirano alla nomina in un consiglio di amministrazione di una società partecipata, le più ambite quelle per azioni. Non disdegnano uno strapuntino in un ente pubblico. Ma si accontentano anche di uno sgabello nel direttivo del circolo dell’uncinetto o del ricamo punto croce.
L’apparenza diventa sostanza, ma resta effimera. La forma è dress code, che convalida l’uniformazione. Che autentica il piattume. Il grigiore. Il tutti coperti e allineati. Lo zitti e mosca. Un posto al desco della nomenklatura è traguardo ambito. La richiesta di partecipare a manifestazioni, dibattiti, inaugurazioni da lei organizzate è motivo d’orgoglio.
In questo contesto si colloca la presentazione del progetto vincente del concorso per la costruzione del nuovo ospedale (nella foto centrale la commissione giudicatrice), modello mondiale di riferimento per i nosocomi del futuro. Pubblicizzato come paradigma per un’assistenza rivoluzionaria, mai vista fino ad oggi, chissà se il risultato corrisponderà alle aspettative. Se sarà quella fantascientifica macchina della salute descritta nelle 179 pagine del Documento di indirizzo della progettazione, dell’ottava meraviglia del mondo.
«Stiamo facendo – informava il direttore generale dell’Asst, Giuseppe Rossi – qualcosa di nuovo in Italia, ma che sarà qualcosa di nuovo anche per il mondo» (cremonasera, 23 ottobre). Crederci è un atto di fede. Il lancio ufficiale dell’ottava meraviglia del mondo è previsto il 30 novembre al Museo del violino, ospite l’archistar Mario Cucinella, l’estensore del progetto. La presenza all’evento è riservata a dei privilegiati, selezionati con criteri a tutt’oggi sconosciuti.
Quelli del Movimento per la riqualificazione dell’ospedale di Cremona, contrari alla demolizione dell’attuale struttura, avevano chiesto di presenziare alla rivelazione. È stato loro risposto che «è un evento istituzionale che prevede la partecipazione su invito secondo regole dettate dal cerimoniale e dal numero limitato di posti a sedere (attualmente tutti occupati)» (vittorianozanolli.it, 24 novembre).
Quale cerimoniale? Quali le regole? Chi le ha decise? Prevedono la presenza esclusiva di partecipanti fidati e affidabili? Di coloro che elevano il Marchese del Grillo a modello di riferimento del proprio comportamento? Ottuso provincialismo che ha indotto ad optare per una sede prestigiosa per pochi eletti, invece di una popolare per tanti? Oppure questione politica? O di fifa matta di contestazioni? Perché non organizzare l’appuntamento a Cremonafiere o in altro luogo con una capienza tale da rendere l’avvenimento accessibile ad un maggior numero di cittadini senza la presentazione del pass della pseudo élite?
L’Asst si è mossa in autonomia o con la collaborazione di altri soggetti della Nomenklatura? Il Comune ha contribuito alla selezione? Condivide questo metodo? Un angolo per un membro del Movimento che ha raccolto più di tremila firme era impossibile da trovare?
È un’operazione storica per la città e il territorio e invece di coinvolgere la popolazione la si esclude. Invece di alimentare il consenso, si instillano sospetti. Un po’ come tagliarsi i coglioni per far dispetto alla moglie. Si resta castrati e non si eliminano i dissidenti, che saranno più incazzati per il trattamento ricevuto.
E la nota che «l’iniziativa verrà trasmessa integralmente in Tv giovedì 30 novembre, alle ore 21 da Cremona 1, sul canale 19» è una pezza peggiore del buco. Decreta l’esistenza di cittadini di prima classe e di seconda. I fighi a palazzo, gli sfigati a casa.
Come al ballo di don Fabrizio principe di Salina, il gattopardo. Ma il lacchè resta lacchè anche con lo smoking. E Claudia Cardinale, Angelica, capace di reggere un ruolo che non le appartiene, ha pochi emuli in provincia. Ancora meno numerosi sono i Burt Lancaster, attenti a ricordare la storia, leggere il presente, prevedere il futuro.
Di sicuro non lo sono coloro che hanno organizzato questa presentazione.
Cremona ha un problema: la nuova nomenklatura.
Antonio Grassi
3 risposte
Di bene in meglio. S.Antonio s. antonio lu nimicu de lu dimonio!
È semplicemente in modo legale per dare soldi a dei predestinati portatori di interessi.
La ristrutturazione evidentemente non ha questo vantaggio.
Qualche giornalista di inchiesta se volesse potrebbe seguire il giro esatto del denaro con una inchiesta lungo gli anni della costruzione.
È vero, la politica, la pianificazione e la visione del futuro non ci sono più, perché non c’è più la democrazia , ma solo affari.