Houston abbiamo un problema. Anzi due: servizi sociali ed elezioni provinciali. Ma la Nasa non è autorizzata ad intervenire. Sono cavoli nostri. Dobbiamo smazzarceli noi.
I primi sono una bomba ad orologeria piazzata nei bilanci comunali.
Le seconde potrebbero trasformarsi in una presa per il culo. Le manovre per centrare questo obiettivo sono già iniziate. La possibilità di fermarle, un punto interrogativo: «ll futuro è incerto e la fine è sempre vicina», per chi è cresciuto con Roadhouse Blues di Jim Morrison e i Doors.
Entrambe le questioni sono unite da un denominatore comune: il binomio politica-partiti.
Il sistema dei servizi sociali ha raggiunto costi esorbitanti, tali da creare notevoli problemi nella quadratura dei conti dei Comuni, che per legge sono tenuti ad erogarli. Molteplici le cause della crisi. Tra le principali, la crescente e costante richiesta di prestazioni socio-assistenziali da parte dei cittadini. Non secondaria, la difficoltà degli enti locali nel reperire le risorse per rispondere alle domande di aiuto e assistenza. Difficoltà accresciuta dalla spending review sulle spese correnti che le sostengono. Restrizione recentemente imposta dal governo ai Comuni. Dieta che non si limita a una botta e via, ma a tutt’oggi è prevista per cinque anni.
La situazione non è rosea. Nera sarebbe un’esagerazione. Preoccupante non è molto lontano dalla realtà. I numeri non mentono.
Dal bilancio 2022-2023 di Comunità Sociale Cremasca si evince (pagina 3) che nel 2023 i Comuni cremaschi hanno versato per la gestione associata circa un milione in più (9 milioni 486 mila euro) rispetto all’anno precedente (8 milioni e 472 mila euro).
«Per uscire dalle sabbie mobili – commenta Roberto Moreni, il Bud Spencer, sindaco di Casaletto di Sopra e referente per il settore sociale dell’Area Omogena Cremasca – è necessario che lo Stato intervenga. Per esempio, l’assistenza scolastica agli alunni con disabilità, il Saap, è esplosa e incide sui bilanci comunali in maniera significativa. Poiché il problema riguarda la scuola, sarebbe opportuno che il Ministero di riferimento si accollasse questo capitolo di spesa». Ma l’intervento dello Stato non basta «È necessario prendere atto che il servizio delle assistenti sociali, deve essere ripensato. È indispensabile ottimizzarlo per evitare di frammentare l’impegno degli operatori. Questo compito spetta ai sindaci che devono convincere i cittadini che non è possibile avere questo servizio sotto casa. Non è concepibile che le assistenti sociali si muovano da un Comune all’altro come trottole, occupando più tempo nei trasferimenti che per il lavoro. Occorre scegliere un Comune baricentrico rispetto ad altri tre o quattro e lì fissare la sede dell’assistente sociale. Questo non impedisce che in caso di necessità l’operatrice o l’operatore si sposti».
Ma anche la Comunità Sociale Cremasca deve darsi una mossa e il Bud Spencer di casa nostra la invita a farlo. Per adesso la sollecita con l’aplomb che lo contraddistingue. Ma se la situazione non cambiasse potrebbe arrivare uno dei suoi mitici sganassoni. «Abbiamo un’azienda consortile che si occupa di sociale a 360 gradi – spiega Moreni – è ora che metta il turbo per compiere il suo dovere, suo l’onere di proporre strategie forti per arginare questo grave problema, che rischia di soffocare i nostri Comuni e il territorio a danno degli utenti finali, i cittadini. Poi servono rendicontazioni più precise e rapide». Il paziente è in codice rosso. Cercare di salvarlo è un dovere. Un obbligo. Qui si parrà la tua nobilitate direbbe il poeta. L’inerzia sarebbe un suicidio. Politica e amministratori pubblici sono avvertiti.
Ai sindaci e ai consiglieri comunali è arrivata la comunicazione ufficiale che il 29 settembre sono chiamati alle urne per l’elezione del presidente e del consiglio provinciale. Sarà una consultazione di secondo livello. Si svolgerà con i criteri stabiliti dall’ignobile legge Delrio. Non varrà il principio di una testa un voto, ma quello del voto ponderato, calcolato sul numero degli abitanti del Comune rappresentato. Più è grande, più il proprio parere conta. Con questo criterio la somma dei voti di tutti i consiglieri comunali, sindaco compreso, di un Comune sotto i tremila abitanti, vale quanto il voto di un singolo consigliere di Cremona o di Crema. Poi ci sono i consiglieri dei Comuni intermedi il cui voto è stimato più di quello dei lillipuziani, ma meno dei giganti. I Comuni della nostra provincia sono 113. Solo 27 presentano una popolazione superiore a 3 mila abitanti. Se la matematica non è un’opinione 86 Comuni contano quanto il due di bastone quando la briscola è coppe.
I consiglieri di Cremona sono 32. Quelli di Crema 24. Poi ci sono i 2 sindaci. In totale sono 58 voti. Ora, se ogni marinaio delle due portaerei pesa quanto quello dell’intero equipaggio di un barchino, allora si può affermare che i 58 votanti dei Comuni di Crema e Cremona valgono tanto quanto tutti i consiglieri e sindaci di altrettanti 58 Comuni sotto i 3 mila abitanti. Chiaro? Forse no, ma cercare di capirlo può essere un passatempo sotto l’ombrellone.
Con questi numeri non è sbagliato sostenere che su 113 Comuni presenti in provincia, violini e tortelli contano per una percentuale superiore al 50 per cento. Il metodo non esclude che un candidato vincente per numero di voti singoli potrebbe risultare perdente per calcolo dei voti ponderati. Elementare Watson. Un sistema infernale stabilito dalla legge e si sa dura lex, sed lex, pertanto inutile protestare. Solo Roma può eliminare il pastrocchio.
La suddivisione del nostro territorio in tanti piccoli Comuni amplifica questa anomalia e favorisce l’egemonia dei due centri maggiori e la marginalizzazione degli altri. Così è, piaccia o non piaccia. C’è poco da discutere.
Qualcosa invece può essere detto sui rumors che circolano in questi giorni. Voci che riferiscono della possibilità di un’elezione con lista unica. Un listone con dentro tutti centrodestra e centrosinistra, compreso il mare magnum dei fuoriusciti da una parte e dall’altra. Un minestrone. Ottimo in tavola, un po’ meno in politica.
Il ritornello è il solito. Tutti insieme appassionatamente per il bene del territorio. Manca Julie Andrews dell’omonimo film, per rendere il quadretto perfetto. Proposito encomiabile, ma cosa s’intende per il bene del territorio? Anche nella fluidità dominante non si può negare che centrosinistra e centrodestra perseguano priorità diverse. Ora quale di queste priorità saranno nel programma dell’eventuale listone unico?
Chi pensa male ipotizza un’equa spartizione di potere, posti e investimenti da realizzare tra le componenti politiche del listone. Tu dai una cosa a me e io una te. Un po’ lo lo scambio delle figurine Panini. Per chi pensa bene è un ibrido per permettere a tutti componenti del circo di galleggiare senza scontrarsi. Chi decide se alle elezioni ci sarà un listone unico o più concorrenti? Le segreterie dei partiti che se ne impipano del parere delle amministrazioni civiche. Un aspetto importante, ma non tale da piantarci un chiodo e una polemica.
Un particolare merita, invece, una riflessione. Diversamente dalle elezioni comunali, quelle provinciali non prevedono un quorum sotto il quale non sono valide. Se un listone unico raccogliesse anche solo il 10 per cento dei consensi, il risultato sarebbe convalidato.
Se il 29 settembre il convento passasse il minestrone, perché sindaci e consiglieri comunali dovrebbero recarsi alle urne? Tutto sarebbe già stato deciso prima della votazione. Pleonastico anche lo spoglio. Presa per il culo.
Antonio Grassi
Una risposta
Trovo assolutamente inconcepibile la proposta di realizzare un listone unico di consiglieri comunali e sindaci per le elezioni provinciali di settembre, tutti uniti appassionatamente, da Fratelli d’Italia al Partito Democratico, poi ci si chiede perchè i cittadini voltano le spalle alla politica, perchè decidono di astenersi dal voto.
La legge attuale, che priva i cittadini dal diritto di eleggere i propri rappresentanti negli organi istituzionali delle province, è il risultato della normativa “creativa “di Graziano Delrio, doveva essere una formula provvisoria in attesa di giungere alla definitiva soppressione delle province.
Purtroppo per il governo Renzi, il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 vide la partecipazione del 65 % del corpo elettorale e quasi il 60 % dei votanti sconfessò il tentativo di stravolgimento della nostra Costituzione.
Sono passati quasi 8 anni da quel referendum, abbiamo visto maggioranze di centro-sinistra, governi tecnici, governi presieduti dai 5 Stelle e ore il governo fascioleghista di Meloni, ma nessuno ha ripristinato il sacrosanto diritto costituzionale degli elettori a scegliere i consiglieri e i presidenti delle province.
Auspico che il parlamento cancelli l’orrenda legge Delrio e confido in una reazione dei cittadini contro la proposta di ammucchiata che i partiti cremonesi vorrebbero realizzare.
In caso contrario non ci rimane che sperare nella nascita di una lista fuori dal coro, alternativa a questa accozzaglia.
Sulla riduzione delle risorse ai comuni per i servizi sociali, mi limito a ribadire la contrarietà del mio partito, semmai devono essere ridotte le spese militari, dal 2024 al 2037 sono previste spese per 24 miliardi di euro da parte dell’Italia per l’acquisto di carri armati tedeschi.
Questa è la vergogna del nostro paese, mentre sono in continuo aumento i poveri, che hanno raggiunto il 10 % della popolazione, il governo aumenta le spese militari.
E’ necessaria la ripresa di un forte movimento pacifista nel paese, che metta al primo posto la riduzione delle spese militari e l’aumento di quelle sociali.
Beppe Bettenzoli
segreteria provinciale del PRC