Qualche giorno fa Ada Ferrari sosteneva che il governo Draghi deve fare un triplo salto mortale per poter mettere a posto l’economia italiana. Di recente sono arrivati i dati Istat del secondo trimestre. Ebbene sono a dir poco entusiasmanti. Intanto il Pil è cresciuto del 2,7% sul trimestre precedente e del 17,5% su base annua (anche se il confronto col secondo trimestre dell’anno scorso non è rilevante in quanto eravamo in lockdown duro). Cresce anche l’occupazione che si avvicina al massimo pre covid, smentendo i gufi dei sindacati che sostengono addirittura che siamo di fronte ad una distruzione di milioni di posti di lavoro.
Ma che cosa ha contribuito a questo risultato ben superiore a quelli otteneuti da Germania e Francia ? I tre fattori principali sono stati: una resilienza ed una ripartenza delle esportazioni che ormai viaggiano ad un ritmo superiore al pre covid; una destrutturazione dell’industria che ha riguardato sia il mix produttivo sia i processi con ingenti investimenti nell’innovazione tecnologica e l’uso massiccio di internet e dell’e-commerce; una risalita della fiducia dei consumatori e delle imprese che ha raggiunto il massimo storico dell’ultimo decennio.
Sui primi due fattori sono determinanti le nostre piccole e medie imprese che stanno percorrendo un processo che li porta a diventare sempre più numerose multinazionali tascabili. Ma sul terzo fattore conta molto l’effetto Draghi. Teniamo presente che a febbraio la nostra crescita era stimata al 3,1% e ora viaggiamo oltre il 5%.
Allora tutto a posto? No, i problemi che si sono accumulati negli ultimi trent’anni non sono risolti ed hanno prodotto distorsioni ed anomalie evidenti. Parafrasando Ada Ferrari, possiamo affermare che con l’approvazione del Pnrr e con l’avvio delle riforme e con la sua agenda serrata, Draghi ha fatto il primo dei salti mortali.
Dando per scontato che le riforme della giustizia della pubblica amministrazione e del fisco e tutte le altre riforme attese da anni saranno fatte, restano da affrontare le altre debolezze dell’Italia. Sebbene in recupero, il tasso di occupazione italiano e sotto del 10% rispetto ai Paesi del Nordeuropa, numericamente vuol dire che abbiamo 3-4 milioni di lavoratori in meno. Per recuperare tutti questi occupati, la strada maestra è innalzare il livello degli investimenti annui in modo da aumentare la dotazione di capitale del Paese e aumentare la produttività del lavoro. Il deficit di investimenti purtroppo è determinato dalla dimensione delle nostre aziende che, seppure in crescita. rimangono piccole e medie. Infatti le grandi imprese rimaste sono pubbliche (Eni, Enel, Leonardo, Fincantieri, Rfi, Terna) avendo perso tutte le grandi imprese private. Emblematico è il caso dell’automotive dove gli Agnelli invece di destrutturare la Fiat l’hanno distrutta.
Dando per scontato che le riforme della giustizia della pubblica amministrazione e del fisco e tutte le altre riforme attese da anni saranno fatte, restano da affrontare le altre debolezze dell’Italia. Sebbene in recupero, il tasso di occupazione italiano e sotto del 10% rispetto ai Paesi del Nordeuropa, numericamente vuol dire che abbiamo 3-4 milioni di lavoratori in meno. Per recuperare tutti questi occupati, la strada maestra è innalzare il livello degli investimenti annui in modo da aumentare la dotazione di capitale del Paese e aumentare la produttività del lavoro. Il deficit di investimenti purtroppo è determinato dalla dimensione delle nostre aziende che, seppure in crescita. rimangono piccole e medie. Infatti le grandi imprese rimaste sono pubbliche (Eni, Enel, Leonardo, Fincantieri, Rfi, Terna) avendo perso tutte le grandi imprese private. Emblematico è il caso dell’automotive dove gli Agnelli invece di destrutturare la Fiat l’hanno distrutta.
Se si scorrono i settori dove gli investimenti e l’innovazione sono all’altezza delle necessità, questi attengono alle aziende pubbliche sopra citate. Il resto viene, come ho detto. dalle multinazionali tascabili le quali in un singolo settore merceologico raggiungono l’eccellenza.
Da alcuni dati recenti, se segmentiamo gli scambi per singolo comparto merceologico. arriviamo a 5.000 settori. Ebbene, in 300 di questi l’Italia è prima o seconda. Per chiarire il concetto richiamo il settore farmaceutico dove l’Italia è prima in Europa alla pari della Germania, ma di fatto non abbiamo nessuna bigfarma. In poche parole siamo bravi a produrre.
Bisognerebbe partire dall’inizio del processo, in primis la ricerca scientifica che dall’1,34% deve essere portata al 2,5%. Poi si deve favorire la crescita delle aziende sia per linee interne sia con fusioni ed acquisizioni. In alcuni settori la partnership pubblica potrebbe fare da volano per creare la stazza necessaria a stare autonomamente sul mercato. Poi la scuola e la formazione continua dovrebbero aumentare le competenze dei cittadini anzi dovrebbero essere almeno raddoppiate in alcuni ambiti perché sono veramente basse nei confronti internazionali.
Un esempio di Italia vincente è nel settore energetico dove Enel, Eni e le sue sorelle Snam e Saipem, stanno cambiando il modo di produrre energia (tutta rinnovabile). Nella produzione di bioetanolo e biocarburante siamo leader, nella produzione e utilizzo dell’idrogeno verde siamo leader e sono partner per i treni (A2A, Snam, Alstom) e per le navi (Snam e Fincantieri). Tutto questo perché sono grandi imprese, hanno una visione e curano sia i processi a monte sia a valle e possiedono le capacità manageriali e finanziarie per sostenere gli investimenti e le ricerche necessarie.
Dunque lo stato deve sostituirsi dove non abbiamo queste capacità. E il Pnrr è un’occasione irripetibile. Di fatto l’ultimo treno.
Un esempio di Italia vincente è nel settore energetico dove Enel, Eni e le sue sorelle Snam e Saipem, stanno cambiando il modo di produrre energia (tutta rinnovabile). Nella produzione di bioetanolo e biocarburante siamo leader, nella produzione e utilizzo dell’idrogeno verde siamo leader e sono partner per i treni (A2A, Snam, Alstom) e per le navi (Snam e Fincantieri). Tutto questo perché sono grandi imprese, hanno una visione e curano sia i processi a monte sia a valle e possiedono le capacità manageriali e finanziarie per sostenere gli investimenti e le ricerche necessarie.
Dunque lo stato deve sostituirsi dove non abbiamo queste capacità. E il Pnrr è un’occasione irripetibile. Di fatto l’ultimo treno.
Francesco Papasergio
3 risposte
Ada Ferrari aveva centrato il tutto.
Verissimo: lo Stato intervenga..E per analogia, forse discutibile ma inevitabile, il pensiero va all’ Iri messa in piedi nei primi anni Trenta da due grandissimi tecnici – Donato Menichella e Alberto Beneduce- i quali benché di fede liberista capirono che in certe situazioni lo Stato non può restare a guardare.
La mia impressione è che a dare lumi sulle possibilità di sviluppo della nostra economia con le nuove straordinarie opportunità che le si presentano vengano, piuttosto che dalla sua storia, dalla filosofia che riuscirà a fare propria. Intendo la filosofia che da sempre adegua la cultura del rischio. Sia nell’iniziativa pubblica che in quella privata. In primo luogo l’indissolubilita del legame diretto tra la responsabilità e la decisione. Questa, in Italia, è più facile trovarla nella piccola impresa, ma Politica e Scuola potrebbero molto per diffonderla anche in alto. Ermanno de Rosa