Resistenza. Fascismo e antifascismo. Liberazione. Overdose di parole e di retorica. Con sollievo di molti, il 25 aprile è stato archiviato. Ma la discussione prosegue. Dichiarazioni, discorsi, commemorazioni hanno caratterizzato la festa. Mantra e full immersion in un passato che non è ancora passato. Non ancora digerito. Non ancora elaborato.
Il 25 aprile è stato celebrato in pompa magna. Momenti forti e profondi. Emozioni sincere e spontanee. In alcune circostanze, artificiose e simulate. Fasulle. Numerose le polemiche.
Non sono mancati superficialità e pressapochismo. Ma anche vuoti di memoria su storia e avvenimenti. Poi supponenza e arroganza e inconsapevole tafazzismo. Problema antico: «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno». (Luca,33:34). In versione cremonese, non sanno quel che dicono.
«Non posso dirmi antifascista perché non ho vissuto quegli anni. Al di là di questo, penso che il fascismo sia finito ottant’anni fa. Oggi è usato in maniera strumentale. La manifestazione va ripensata, perché oggi è utilizzata da una parte politica contro quella opposta» (La Provincia, 26 aprile).
Marcello Ventura, consigliere regionale e segretario provinciale di Fratelli d’Italia, è liberissimo di non essere antifascista. È un suo diritto. Gli è concesso dalla Costituzione italiana, che ha radici nel 25 aprile 1945. Ma lui non lo sa. È nato il 16 luglio 1965 e, per sua stessa ammissione, è impossibilitato a giudicare quanto è successo negli anni precedenti la sua venuta al mondo. La sua storia prevede un ante Marcellum natum. Per lui, periodo di buio siderale. E un post Marcellum natum, che è troppo presto per definirlo un tempo di luminosità abbacinante.
Non sarebbe disdicevole se si iscrivesse a un corso di storia. Non è necessario all’università. Basterebbe uno online, a prezzo stracciato. Per principianti.
Se reputasse troppo faticoso iniziare dall’antica Roma e dall’origine del fascio littorio, potrebbe partire dalla fine della prima guerra mondiale e fermarsi al gennaio 1948. All’entrata in vigore della Costituzione Italiana.
Se si appassionasse all’argomento, gli gioverebbe un passaggio in biblioteca per documentarsi su Roberto Farinacci, tipino irascibile. Manganello e olio di ricino. Alcune pellicole potrebbero aiutarlo nella comprensione della storia a lui sconosciuta. Da Una giornata particolare a Il conformista e Il federale, la filmografia sul tema è assai ricca.
Per la musica, se si esclude Bella ciao, che sicuramente gli è nota, l’ascolto di Siamo ribelli della montagna dei più moderni Modena City Ramblers, gli frutterebbe un 110 e lode. Se volesse esagerare e stupire, potrebbe leggere il discorso sulla Costituzione di Piero Calamandrei agli studenti milanesi. Datato 1955, è più che mai attuale. Ma è chiedere troppo.
Reclamizzata in modo massiccio da giornali e televisioni, filata dai social «anche quelli che di politica non si interessano e anche quelli che di politica capiscono poco» (Francesco Martelli, Cremonasera, 26 aprile), la festa del 25 aprile ha pagato il prezzo di un’eccessiva rilevanza mediatica. È diventata un brand e ha perso molto della sacralità e del pathos che la caratterizzavano.
Tutti partigiani, il 25 aprile. Tutti resistenti. Tutti liberatori. Un paio di palle. Passata la festa e gabbato lo santo, la resistenza evapora. I partigiani di un corteo, di un dibattito, di un aperitivo, tornano cacasotto e opportunisti. Ignavi. Fino al prossimo 25 aprile e al successivo e così via, in un loop che non prevede variazioni. La morta gora resta tale e non è sufficiente qualche isolato sussulto per animarla.
Politica e partiti non muovono un dito. Il Pd, i cui antenati sono stati protagonisti della Liberazione, non abbonda di urlatori, da non confondere con gli emuli di Tony Dallara.
Partigiano è oggi chi si oppone a una politica eterodiretta da multinazionali e società private. Da aziende a maggioranza pubblica, ma quotate in borsa. Da stakeholder. Da tecnocrati.
Non è partigiano chi si atteggia a stratega e considera le multiutility il sacro Graal del territorio. Chi si pensa primo della classe e ritiene gli avversari dei poveri pirla.
Non è partigiano chi con spiegoni saccenti giustifica l’impianto di biometano a San Rocco. «Non si può fare politica energetica territoriale come se si assistesse a una partita di calcio: non è questione di tifoserie, ma di visione strategica. È quindi fondamentale superare le polarizzazioni e promuovere l’economia circolare» (Andrea Virgilio, La Provincia, 28 aprile).
Non è partigiano chi ciurla nel manico.
«Il conservatorismo di alcuni settori del centrodestra locale di fronte a una sfida così ambiziosa (conciliare sviluppo e sostenibilità ndr) è, dunque, solo ipocrisia elettorale, fra l’altro malamente cavalcata da un candidato che opta furbescamente per una battaglia di retroguardia» (Andrea Virgilio, La Provincia, 28 aprile). Forse è vero l’opposto.
È ipocrisia elettorale non precisare che la battaglia di retroguardia è condotta da un gruppo di cittadini non etichettabile di centrodestra. Un comitato partigiano, fondata da un sindaco Pd, in cui convivono piddini, rifondaroli, pentastellati e altri cittadini di diverso credo politico. Il centrodestra l’ha sposata e condivisa. Tacere questo dettaglio non è partigiano. È furbata da birbantello ingenuo, direbbe con bonomia la vecchia insegnante comprensiva e sorridente. È comportamento che confligge con l’etica politica tanto cara al Pd. Ma solo se fa comodo.
Potrebbe essere da partigiani togliere dai cassetti uno studio dell’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) realizzato prima della costruzione dell’inceneritore. Pagato dal Comune alcune decine di milioni di lire e distribuito durante una conferenza stampa il 13 maggio 1994 (La Provincia, 14 maggio 1994), il lavoro consigliava cautela e alcuni interventi prima di realizzare un polo rifiuti in zona Rocco.
Partigiani sono il Movimento per la riqualificazione dell’ospedale pubblico di Cremona e il Comitato contro la realizzazione della Cremona-Mantova.
Partigiani sono coloro che denunciano l’aumento di alcuni tumori nel nostro territorio.
«I dati ufficiali dimostrano infatti che da noi si muore per tumore molto di più che nel resto d’Italia» (Pietro Cavalli, Vittorianozanolli.it. 26 aprile). Non partigiani sono le istituzioni, i politici e i partiti che tacciono su questi dati.
Non partigiani, sono i cacciatori di poltrone che brigano per entrare nel consiglio di amministrazione di Padania Acque, senza possedere le azioni della società. Che intendono usurpare il ruolo decisionale ai sindaci che, invece, le detengono. Sono gli smemorati che vestono i panni della democrazia e della correttezza, ma dimenticano di avere imposto a Scrp un consiglio di amministrazione monocolore con l’esclusione della minoranza.
Non partigiani sono i parlamentari europei, tra i quali alcuni italiani, che il 24 aprile hanno votato contro la direttiva Ue per rendere più rigorosi i parametri della qualità dell’aria (Vittorianozanolli.it, 26 aprile). Direttiva che però è stata approvata.
Partigiani sono i candidati sindaco che sottoscrivono pubblicamente un patto con gli elettori Farò questo e quest’altro. Non farò questo e quest’altro. Punto.
Partigiani sono i cittadini scazzati, che però si recano alle urne. Che non si tappano il naso. Che, con coraggio, votano per cambiare un sistema cristallizzato e statico.
Partigiani sono gli irriducibili che non dicono «Le rivoluzioni sono malattie. Sono come le piattole» (Rod Steiger, Giù la testa), ma al contrario precisano: «I cambiamenti sono la terapia per scacciare le piattole».
I partigiani sono gli utopisti che non hanno dimenticato l’insegnamento di Antonio Gramsci. «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza».
Ora e sempre 25 aprile. Ora e sempre resistenza.
Antonio Grassi