Nani della politica cremonese asserviti (complici i media) ai portatori d’interesse

1 Settembre 2024

Cosa è rimasto della politica in provincia?  Poco. E chi sono coloro che la rappresentano?   Ologrammi. Fantasmi. Zombi.  Politica e politici in provincia di Cremona sono palude, terra di nessuno. Steppa. Deserto. Vuoto quasi penumatico. Politica e politici in provincia di Cremona sono litanie di lamenti, prefiche. De profundis. 

E i pochi politici che fanno eccezioni sono o top gun che volano alto e incutono timore. O generali di lungo corso, incartapecoriti, un po’ stanchi e altrettanto scazzati, probabilmente anche appagati, per impegnarsi a rianimare il paziente moribondo. O fuoriclasse attempati, generatori d’invidia.

E i giovani che potrebbero illuminare il buio della notte si contano sulle dita di una mano. Monca.  E la loro luce non è abbacinante, ma fioca, candela accesa per chiedere la grazia della Madonna. In alternativa, allo Spirito Santo, noto per essere specializzato nell’infondere speranza.  I virgulti appassiscono se nessuno li cura.  Si sviliscono, se nessuno li aiuta a crescere.  Si perdono, se nessuno li indirizza con il buon esempio. I potenziali campioni restano tali, se mancano maestri, esperti e capaci, disposti a coltivarli e a seguirli. Se mediocrità e supponenza   imperano.

Come possono sbocciare apprendisti stregoni se scarseggiano gli stregoni?

Questo giudizio negativo, estremo, apodittico, si presta a numerose critiche.  Dalla banale accusa di pessimismo, al grave reato di disfattismo. All’imperdonabile delitto di qualunquismo. Senza dimenticare la possibilità di finire sul libro nero dei reietti con il classico e sbrigativo e sempreverde marchio di coloro che non capiscono un cazzo. Marchio che i pasdaran del sistema riservano a coloro che criticano la narrazione mainstream della politica locale.

Dogmatici, categorici, sciovinisti, indisponibili al confronto, i guardiani del pensiero unico se la cantano e se la suonano come meglio aggrada loro.  La realtà li contraddice.

Non basta la propaganda di regime per certificare che tutto procede al meglio.  Non è sufficiente la pubblicità poco subliminale e assai smaccata per garantire il mantenimento delle promesse. E il marketing-marchetta non è taumaturgico. Non rende accettabili scelte discutibili. Biometano a San Rocco e nuovo ospedale insegnano.

È pia illusione credere che nell’era digitale un’informazione simil-ventennio fascista mantenga il monopolio e raccolga indiscriminatamente, sempre e comunque, applausi e consensi.

«Il testo del discorso del Duce può essere pubblicato in neretto e deve essere rigorosamente controllato. Ricordare di mettere il saluto del Duce all’inizio e nel termine del discorso, così come ha fatto la Stefani. Il discorso del Duce può essere commentato (il commento ve lo mandiamo noi)» (Minculpop, disposizione per la stampa, 23 settembre 1939).

Cremona non ha raggiunto questo livello. È sulla strada per arrivarci. L’interferenza degli stakeholder sull’informazione locale poco si discosta dalla prassi del Ministero della cultura popolare.

Nessuna meraviglia. Sono le regole del potere.  Anzi, tanto di cappello ai portatori di interesse capaci di tenere per le palle molti politici e una quota consistente dei media locale. Regolarmente pubblicati dalla stampa di regime, comunicati o interviste preconfezionate sono un saggio di informazione libera-asservita, ossimoro che contraddistingue e caratterizza la comunicazione nella Repubblica del Marubino. Ma anche indizio del decadimento della politica. Del suo assoggettamento ai portatori di interesse.  

La gestione schizofrenica dell’ipotesi di una lista unica per le elezioni provinciali del prossimo 29 settembre rappresenta la prova provata di tutto questo.  Pistola fumante che inchioda i nostri politici alle proprie responsabilità.

Indipendentemente dalla formazione o dal fallimento e al netto della lista fluida, della sua presentazione o meno, scelta che per motivi di tempi tecnici, deve essere presa entro le prossime 24 ore, si può già da ora affermare che la vicenda è stata gestita nel peggiore dei modi possibili.

Suicidio politico e Caporetto dei partiti, la rivoluzione è stata pilotata con ingenuità e pressapochismo, indubbiamente involontari.  Ma questo non attenua la responsabilità di chi ha promosso e perseguito l’obiettivo con superficialità e faciloneria. Con scarsa lungimiranza ed evidente inettitudine politica e, perché no, con una buona dose di arroganza.

Il progetto lista unica, partito nelle settimane scorse, è stato perseguito in modo sgarrupato. Raffazzonato.  In stile I soliti ignoti, ma senza essere né un capolavoro, né divertente come il film.

Improponibile, per chi crede nella dialettica, nel confronto, nella democrazia, l’idea dell’ammucchiata è uno schiaffo a chi ancora crede in una politica diversa dal gioco del Monopoli dei partiti. Indigeribile, ha indotto, forse ingiustamente, a supporre spartizioni preventive di posti e di prebende, compreso il colore della casacca dei responsabili delle fotocopie e dell’ufficio scassa minchia.

Il minestrone prevede centrodestra, centrosinistra, Lega e ammennicoli vari, tutti insieme appassionatamente. Una soluzione in linea con la società di oggi, liquida e aperta a nuove forme di unione, ma stridente con i principi della politica.  Non ancora preparata a un matrimonio che ipotizza Fratelli d’Italia condividere il talamo con il Pd.

E il continuo richiamo dei partiti sulla necessità di cucinare un minestrone, perché toccasana per il territorio, è una foglia di fico per alleggerire le proprie responsabilità dì avere ridotto il territorio in uno stato che loro stessi considerano comatoso. 

Mal comune, mezzo gaudio. Si dice così. Tutti insieme, nessun colpevole.

Alcuni giorni fa, Vittore Soldo, segretario provinciale Pd,  ha   rilasciato a Cremonaoggi (https://www.cremonaoggi.it/2024/08/27/vertice-pd-soldo-provinciali-obiettivo-lista-unica/) una videointervista dalla quale si desume  la ricetta del minestrone e relativi  ingredienti.

Paradigmatico, esplicativo, didattico lo chef politico stellato ha illustrato il percorso intrapreso e gli scopi della lista unica. Ha rivelato il cammino iniziato per volontà delle segreterie di partito. Ha raccontato degli amministratori Pd, informati successivamente. Ha sottolineato il confronto con le segreterie del centrodestra e del mondo tutto. Ha indicato l’obiettivo: «il ritorno della Provincia ad essere un luogo di strategia territoriale e lavori per tutti i portatori d’interesse».  Già, gli stakeholder. Sempre loro, ossessione di Soldo. 

Per completare il quadro, in un’altra intervista pubblicata il 28 agosto, su La Provincia (pagina 3), il loquace segretario Pd, alla richiesta del giornalista di esprimersi su un possibile candidato presidente, non ha spiattellato il nome. Ha però precisato che dovrebbe essere targato Pd: «È una questione di responsabilità, d’altronde il centrosinistra governa le prime due città della Provincia, oltre a una serie di Comuni del territorio».

Ora perché i sindaci e i consiglieri comunali, che per la famigerata legge Delrio sono gli unici votanti, gli unici possibili candidati e quindi gli unici eleggibili non sono stati coinvolti da subito?  Perché i tapini delle liste civiche sono stati esclusi? Non sarebbe stato più semplice, lineare e democratico convocare un’assemblea dei 113 sindaci della provincia, porre la questione della lista unica, discuterla e lasciare la decisione ai partecipanti?

Se il minestrone è la terapia che evita alla Provincia di salire sul catafalco, la prima regola è l’abbandono di primogeniture, di diritti di prelazione, di rivendicazioni sindacali, di sottili e bizantini distinguo.  Ne deriva che la scelta del candidato presidente dipende dal suo carisma, dalla sua autorevolezza, dalla sua capacità di indipendenza di giudizio nei confronti dei partiti e degli ubiquitari stakeholder. Supera il luogo provenienza: Cremonese, Cremasco, Casalasco.   Sostenere che compete al  Pd perché il centrosinistra governa Crema e Cremona è contraddittorio con il traguardo dichiarato di una lista comune.  È un significativo segnale che il matrimonio liquido non s’ha da fare. 

Il territorio non si rigenera con l’unione di coloro che l’hanno affossato. Si rivitalizza con il cambiamento di uomini e metodi. Con il bene comune, prioritario, aspetto mai emerso in queste settimane. Il territorio non si ricostruisce con gli ologrammi, i fantasmi, gli zombi. Non rinasce con un minestrone indigesto. Il territorio si rilancia anche con la disobbedienza alle direttive di partito. Con il rifiuto di votare il candidato unico.  O, in caso di più  liste di votarne uno diverso da quello del proprio partito, se l’alieno si ritiene più adatto al ruolo. La provincia si migliora con il coraggio.

 

Antonio Grassi

Una risposta

  1. Coraggio??? È una battuta? Quando mai i politici nostrani odierni assoggettati come sono al potere economico e ai detentori dello stesso prendono decisioni che non tengano conto del volere dei padroni? Quello che stupisce è che proprio il PD ( che in via del tutto teorica ci si aspetterebbe prendesse le parti del “popolo” e non del padrone) sia il primo a inginocchiarsi, seguito a ruota dagli altri, comprese le formiche, che ovviamente si accontenterebbero delle briciole, come Azione, Italia Viva e compagnia cantante.

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