Aumento delle temperature, cambiamenti climatici, incendi di foreste e deforestazioni, pandemia, inquinamento ambientale, una situazione generale estremamente complessa che mostra relazioni e interconnessioni molto evidenti. Un degrado denunciato con il 90% d’affidabilità già nel 2007 nel IV Rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), organismo voluto dalle Agenzie OMM e UNEP dell’ONU, ribadito nel 2013 nel V Rapporto con una credibilità salita al 95% e premessa dell’Accordo di Parigi del 2015.
Nel maggio 2019 un’altra agenzia dell’Onu, la IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) composta da 145 scienziati di 50 paesi, scriveva: «le azioni degli esseri umani stanno mettendo a rischio d’estinzione molte più specie che in passato» (un milione circa, tra animali e piante, alcune delle quali potrebbero sparire per sempre già nel giro di pochi decenni.). Un quadro ripetuto dalle stime della IUNC (Unione internazionale per la conservazione della natura), secondo cui il 27 per cento delle specie viventi monitorate è a rischio estinzione, mentre quelle del Living Planet Report 2018 del Wwf International dicevano: «Le popolazioni globali di mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi sono calate, in media, del 60 per cento tra il 1970 e il 2014».
Questa pandemia, prima di essere conclamata, pare sia interpretata come fenomeno episodico e casuale, non strettamente legata, come già detto, al degrado ambientale. Di fronte a ben 100 mila morti e a un progressivo aggravamento della situazione, la classe politica italiana e i partiti politici in genere appaiono ancora adesso non solo miopi, ma anche sordi. Pare siano solo preoccupati di ‘mettere le mani’ sui 209 miliardi del Recovery Plan, di cui 74,3 sono destinati a decarbonizzare il sistema, per fare ripartire quell’economia che è la causa della gravissima situazione in cui il pianeta si trova. Partiti e politici italiani sperano di ingannare l’UE contando sull’arte nostrana del facimme ammuina e ancor di più su quella gattopardesca del cambiare tutto per non cambiare nulla.
L’autentica alternativa imposta dai cambiamenti epocali in atto sta invece non solo nella volontà di liberarsi di schemi, modelli economici, produttivi e comportamentali vecchi, ma anche nel seguire gli studi in corso e licenziare il liberismo, responsabile della situazione drammatica in cui l’umanità si trova. Sono modificazioni possibili solo con un radicale cambio generazionale della classe dirigente. E’ indispensabile una rivoluzione culturale per attuare un’impresa di dimensioni storiche.
Spiragli di speranza vengono dall’intervento del presidente Mario Draghi al Senato in occasione della richiesta della fiducia per il suo Governo: «Proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale, richiede un approccio nuovo…. Anche nel nostro Paese alcuni modelli di crescita dovranno cambiare». Speranza temperata però dai ritardi culturali dei partiti.
Benito Fiori (per ABC-Alleanza Bene Comune-La Rete)