“Molto più utili gli interventi di aggiornamento degli invasi idroelettrici, su cui serve anche una maggior cooperazione Italia-Svizzera. Con il cambiamento climatico è inevitabile la riduzione della disponibilità estiva di acque per l’irrigazione: occorre risparmiare acqua, ma anche modificare le colture”.
La Lombardia e l’intero bacino padano stanno affrontando da mesi una crisi idrica di dimensioni epocali, dovuta al protrarsi di un periodo siccitoso iniziato a dicembre del 2021 e ancora in corso, soprattutto nella Pianura Padana occidentale dove si registra un deficit di precipitazioni superiore al 60% rispetto alla media 2006/2020, presentandoci uno degli scenari più complicati e drammatici degli ultimi 50 anni.
Nonostante ciò la nostra regione ha abbondanza di scorte idriche di cui beneficia, sia in termini di invasi lacustri e idroelettrici, acque sotterranee, neve e ghiaccio, tanto che nelle annate normali la stagione irrigua inizia con una riserva idrica di oltre 5 miliardi di mc di acqua, includendo le nevi che, mediamente, accantonano fino a primavera inoltrata l’equivalente di 3 miliardi di mc d’acqua, risorsa di cui però si è fortemente sentita la mancanza nell’inverno scorso, quando l’equivalente in acqua delle nevi accumulate è stato meno di un terzo di quello medio.
“Il cambiamento climatico porterà variazioni imprevedibili nel regime delle precipitazioni, insieme a conseguenze che invece sono chiare e prevedibilissime – afferma Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia – Quello che è certo è che la stagione estiva sarà sempre più critica per la disponibilità di acqua nei campi, a causa del combinato disposto di un disgelo sempre più anticipato in montagna e di una progressiva scomparsa dei ghiacciai alpini. Per questo non basteranno gli interventi sulle infrastrutture irrigue, l’agricoltura lombarda deve avviare un percorso di ripensamento, perché colture come quella del mais dovranno progressivamente lasciare il posto ad altre molto meno idroesigenti”.
Questa è una delle ragioni che porta Legambiente a dissociarsi dalle soluzioni prospettate dalla risoluzione sulla siccità del Consiglio Regionale, quella di realizzare nuovi, piccoli invasi. “La Lombardia dispone di volumi d’invaso dell’ordine di quasi 2,5 miliardi di mc, che intercettano la quasi totalità delle precipitazioni che interessano l’arco alpino lombardo, nessuna nuova opera infrastrutturale è in grado di modificare in modo sostanziale questo immenso volano idrico: quando parliamo di nuovi invasi, stiamo infatti parlando di poche decine di milioni di mc di acqua. A parte alcune situazioni estremamente localizzate, non servono nuovi invasi ma una miglior gestione del patrimonio di invasi esistenti”, spiega Lorenzo Baio, vicedirettore e responsabile Settore Acqua di Legambiente Lombardia.
L’enorme disponibilità di scorte idriche della Lombardia ha da sempre caratterizzato il sistema irriguo e gli ordinamenti colturali della pianura lombarda, ma ora questo quadro non può più essere garantito a causa del cambiamento climatico, dei suoi effetti che sono in parte imprevedibili (maggior frequenza e intensità di eventi climatici estremi) e in parte strutturali (anticipo della stagione del disgelo, innalzamento di quota delle precipitazioni nevose, scomparsa delle masse glaciali). “Non fare i conti per tempo con la necessità di adattamento connessa al cambiamento climatico significa esporre il settore produttivo più sensibile, quello agricolo, a crescenti incertezze e gravi rischi di perdite. Invece che puntare su nuovi invasi, è molto meglio investire risorse sul mantenimento in efficienza degli invasi esistenti” puntualizza Baio.
Secondo Legambiente Lombardia, quindi, tra le principali priorità, vi è l’esigenza di mantenere in efficienza il sistema degli invasi idroelettrici montani, considerato che si tratta anche di una risorsa strategica per il sistema energetico della Lombardia, il cui stato tuttavia non è ottimale, anche a causa dei gravi ritardi nel rinnovo di numerose concessioni già scadute o in scadenza. L’associazione ambientalista chiede agli uffici regionali di redigere un rapporto sullo stato dei grandi invasi idroelettrici, da cui sia possibile ricavare il quadro delle riduzioni di capacità legate ad accumulo di sedimenti o a perdite idriche, e quindi, sui margini di miglioramento conseguibili con interventi di razionalizzazione e di svaso dei sedimenti accumulatisi in decenni di esercizio. Occorre inoltre una maggior cooperazione per la gestione degli invasi che si trovano in territorio svizzero ma ricadono nel bacino del Po: la scorsa estate, mentre i campi chiedevano acqua, le dighe delle valli del Ticino e di quelle di Mera e Poschiavino hanno infatti continuato ad accumulare centinaia di milioni di metri cubi di scorta idrica: una situazione inaccettabile, che deve essere affrontata e risolta impostando tavoli transfrontalieri per una ‘diplomazia dell’acqua’.
Legambiente plaude invece alla spinta sancita nella risoluzione al riutilizzo delle acque depurate: si tratta di un utilizzo che già viene realizzato, in particolare nell’area metropolitana milanese, dove le acque trattate dai maggiori depuratori sono già da anni inviate ai sistemi irrigui. Estendere ed ottimizzare il reimpiego delle acque depurate richiede uno sforzo congiunto da realizzare da parte dei gestori del servizio idrico integrato e dei consorzi di bonifica e irrigazione, per rispondere all’esigenza di un uso efficiente della risorsa idrica insieme a quella della riduzione delle perdite di nutrienti minerali preziosi per la produzione agricola