«È il momento di farci sentire. Come trent’anni fa. Se ci sarà bisogno ricostruiremo Forte
Apache, per resistere ancora una volta ai soprusi di chi viene da lontano, di chi parla di
ecologismo dipingendo di verde i camini delle fabbriche». (Cremona sera, 19 marzo). Con queste parole Michel Marchi, sindaco di Gerre de’ Caprioli, ha chiamato alle armi non solo i propri cittadini, ma l’intero popolo ambientalista contro il mega impianto di biometano che A2a è intenzionata a costruire in via Bosco. Un cadeau, riferisce Marchi, che «tratterà circa 94mila tonnellate di rifiuti all’anno». L’inceneritore ne brucia circa 70mila. «Sono passati quasi trent’anni – ha sottolineato Marchi – da quello che ancora oggi possiamo annoverare come il più grande schiaffo alla democrazia cremonese. Dopo un referendum popolare che bocciava la costruzione dell’inceneritore in via Bosco, il Comune di Cremona decideva di andare avanti comunque. Nasceva così uno dei più iconici movimenti di resistenza e protesta pacifica: Forte Apache. Chissà cosa direbbero oggi i compianti Mario Bini (nella foto centrale) e Bruno Poli nel vedere che ancora una volta si tenta di annientare il territorio nella parte sud della città».
Nato ufficialmente il 18 novembre 1994, Forte Apache conclude la sua esistenza il 6 gennaio 1995. Era sorto per contestare la decisione del consiglio comunale di Cremona (28 giugno 1994), di respingere il risultato del referendum del 18 giugno. Referendum che aveva visto prevalere i contrari all’insediamento di un inceneritore a San Rocco. Alla consultazione parteciparono 35.828 elettori, il 57,76 per cento degli aventi diritto al voto. In 20.338, il 58,01 per cento si erano schierati contro l’impianto a San Rocco. A favore 14.757 (41,99 per cento). Poi 376 (0,58 per cento) schede bianche e 292 (0,45 per cento) quelle nulle.
Cosa era fisicamente e cosa abbia significato Forte Apache lo spiega il libro di Antonio Grassi Forte Apache e dintorni, pubblicato nel 1998, con prefazione di Vittoriano Zanolli. L’autore ricostruisce e racconta in maniera dettagliata la vicenda, da lui vissuta in prima persona nel ruolo di giornalista de La Provincia, e il clima che l’ha caratterizzata.Per coloro che non conoscono questa storia, ecco alcuni stralci del libro utili per capire le parole di Marchi.
Come è nato Forte Apache?
«All’inizio era il presidio, poi divenne Forte Apache. Questa definizione giornalistica ebbe fortuna. Gli rimase per il resto della sua esistenza. Breve, ma esaltante. Forse irripetibile. Una botta di vita, di fantasia, di confronto, di sana dialettica, che sono il sale delle cose e opportunità di crescita, ma anche fonte di recriminazioni e spunto di riflessioni per il futuro».
Com’era?
«La baracca non aveva niente dell’avamposto in terra ostile. Costruita con materiale di recupero, non era nata per resistere ad ipotetici quanto improbabili attacchi nemici. Era fragile fisicamente, ma indistruttibile come simbolo. Quando soffiava un vento un po’ più intenso di una brezza, il tetto si sollevava e i pezzi andavano da tutte le parti. Era uno spettacolo vedere gli indiani raccoglierli e rifare la copertura. Quando pioveva, intorno alla postazione si sprofondava nel fango».
«All’esterno una parete della baracca era abbellita da un murales raffigurante il duomo di Cremona in versione post inceneritore, disegno che divenne una cartolina. All’interno c’erano la bacheca per le comunicazioni e gli ordini del giorno, le sedie per le assemblee. Appoggiato su un ripiano in bella mostra un megafono. C’era un divano recuperato nell’ex discarica».
«Il Forte veniva riscaldato da una stufa a gas e da un impianto che assomigliava alla caldaia dove un tempo, in cascina, si faceva bollire la biancheria per il bucato. Le due centrali termiche venivano alimentate con trucioli di segheria e con pezzi di legna regalati dai viandanti che passavano da via San Rocco e si fermavano a dare un’occhiata. Portavano anche generi alimentari. C’era un bar, ma gli alcolici erano of limits. Gli slogan dominavano la scena. L’incitamento Kuciniamo gli amministratori con la kappa di rigore, teneva tutta la lunghezza del bancone».
Che significato aveva?
«Il Forte rappresentava la fede di chi l’aveva elevato a tempio feticcio, idolo della propria idea. Era il segno distintivo che permetteva di identificarsi in una comunità, di essere parte di un movimento, anche se estremamente eterogeneo nella sua composizione e contraddittorio nella sua rappresentatività politico-sociale. Era la bandiera di un’aggregazione di comitati, di associazioni, di gruppi, di politici impegnati – ognuno con motivazioni diverse – nella battaglia contro la costruzione dell’inceneritore tout court e, in alternativa contro la realizzazione dell’impianto di San Rocco»
A cosa serviva?
«Era il disperato tentativo di gridare la propria rabbia contro chi aveva tradito la volontà popolare».
Chi erano Mario Bini e Bruno Poli citati dal sindaco di Gerre de’ Caprioli Michel Marchi?
Il primo, leader degli autonomi, battezzato Geronimo da Grassi, era l’indiscusso e carismatico comandante di Forte Apache. Accompagnato dalla fida Mari Santi, sosteneva la necessita di azioni eclatanti, cortei e sit-in. Il secondo, militante di Forza Italia e motore di Cremona Pulita. Ho Chi Minh per Grassi, era lo stratega delle iniziative e uno dei principali artefici della vittoria referendaria. Diplomatico, trovava sempre una mediazione alla proposte rivoluzionarie di Bini. Pochi mesi dopo la chiusura del Forte venne eletto consigliere comunale di Gerre. Nell’occasione, venne eletto sindaco di Gerre Pier Emilio Bergonzi, tra i principali attori della battaglia per il referendum.
Alcuni protagonisti
Francesco Bordi, in seguito assessore del ‘Comune di Cremona. Carlo Capurso del WWF, Agostino Melega, Ettore Manes, Elia Sciacca, Cinzia Zampini, Enrico Gnocchi e molti altri.
I principali avversari
Il sindaco e il vicesindaco di Cremona, rispettivamente Alfeo Garini e Giuseppe Tadioli, il generale Westmoreland, Giuseppe Tiranti, presidente Aem.
La frase storica
Il 15 luglio 94 durante una protesta silenziosa nel cortile del comune, Federico Balestreri, presidente di Cremona Pulita, disse con voce tonante: «I nomi dei 21 consiglieri che hanno votato contro la volontà popolare devono essere scolpiti in questo cortile».
2 risposte
mi sembra normale anzi, pienamente democratico. Si perde un referendum e si va avanti lo stesso, e allora perchè l’hanno fatto quel referendum? Semplice, per prendere in giro la gente. Ormai siamo abituati, a tutti i livelli, a questo genere di abusi. Vince la minoranza che ha più potere. Rassegnatevi. E’la legge del più forte che delle schede referendarie ne fà un bel’impasto da usare al cesso, eventualmente, dopo relativa autorizzazione di chi di dovere.
Spero che su questa vicenda si faccia sentire anche il comitato NO strada sud, unendosi in forza agli abitanti di Gerre a a tutti quei cittadini che non vogliono altro inquinamento a Cremona. Tra questo, autostrada mantovana, polo logistico a San Felice andiamo ad aggiungere ulteriore peso alla disastrata situazione ambientale del territorio.