Favolacce, immeritato Orso d’argento a Berlino

6 Aprile 2021

Benché il film dei fratelli D’Innocenzo possa contare su una buona schiera di fans e abbia ottenuto l’Orso d’argento all’ultimo festival di Berlino, non riesco a farmelo piacere. Soprattutto non ne capisco la necessità. In ultima istanza, dopo che le prime, frammentarie e volutamente spiazzanti sequenze sono riuscite a delineare una storia o un carattere, il film non riesce a dire nulla di più di quanto abbiano già detto, in maniera più appassionante, i vari De Matteo, Scordigno, Genovese, persino il (troppo, non sempre a ragione) disprezzato Muccino. Chiarissima, insomma, la volontà di non costruire una trama che si colleghi alle favole (cioè agli apologhi che insegnavano un tempo il retto agire), ma piuttosto storie incentrate sul buio, sul nulla, sulla desolazione della nostra epoca: e non per nulla sui titoli di coda scorre la Passacaglia della vita di Stefano Landi, una delle più cupe espressioni del cupissimo Barocco italiano.
Centro del viluppo di storie è la media e piccola borghesia, non priva del necessario, ma sempre sul punto di precipitare in basso a causa della crisi e della disoccupazione. Se le madri sono assenti (o orribilmente volgari e provocanti), i padri sono afflitti da una debolezza che confina con la passività, dall’aggressività e dal rancore ben nascosti dai rapporti puramente formali coi vicini. Se parlano, si abbandonano a monologhi inconcludenti e privi di senso davanti ad adolescenti allibiti ed incapaci di reagire. L’impotenza domina sovrana se un padre (un bravissimo, come al solito, Elio Germano) non trova neppure la forza di reagire davanti alla tragedia che lo ha travolto.
Tutta la mediocrità e il disamore che caratterizzano un’epoca come l’attuale, vengono espressi in uno stile da film impegnato, ‘per pochi eletti’, che finisce per irritare anche perché si intende spacciare per innovazioni scelte cinematografiche tutt’altro che originali e che ricordano lo sperimentalismo in voga nei tardi anni Sessanta e nei primi anni Settanta. Comunque, ci si impegna ben poco per rendere visivamente gradevole (e anche comprensibile) lo sgradevolissimo plot: storie frammentarie ed allusive, tempi lenti, dialoghi in presa diretta pronunciati a voce bassissima.
Certo, non mancano nel film momenti efficaci (in particolare tutti quelli che denunciano lo sbandamento, anche morale, dei giovani, le prime vittime di adulti non cresciuti), ma la cupezza non convince, e il linguaggio allontana.

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