“L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto.” (Dio è morto, Francesco Guccini)
È stato l’evento della settimana. Alla festa del primo maggio, durante la sua esibizione, Fedez ha preso il microfono lanciandosi in una requisitoria contro alcuni politici leghisti contrari all’approvazione del DDL Zan, colpevoli di frasi del tutto inaccettabili. Un j’accuse squisitamente politico, sconsigliato dai dirigenti RAI, in un clima di minacciata censura (poi non attuata) che qualche giorno prima aveva colpito la parte opposta della barricata, con lo spettacolo “scorretto” dei comici Pio e Amedeo. Ancora una volta un bipolarismo estremo, piuttosto infantile nel tono da ripicca con cui destra e sinistra si punzecchiano sui rispettivi passi falsi, sempre attraverso il mondo dello spettacolo. Che però riapre la riflessione sulla direzione presa dalla sinistra.
Nuove leve della sinistra?
La polemica di questo primo maggio evidenzia qualcosa di chiaro già da tempo. Fedez è il ritratto delle ‘nuove leve’ di una sinistra autorinchiusasi in un minoritarismo di retroguardia, ormai lontana e disinteressata a comunicare con la categoria che la sinistra l’ha costruita: i lavoratori. Questi ultimi si sono ormai da tempo rivolti altrove, alle destre che come spesso viene riferito in modo sprezzante, parlano ‘alla pancia degli italiani’. Un fatto vero, potenzialmente pericoloso, ma a cui alla sinistra non interessa rispondere. I parka e le Clark’s sono roba da leghisti. Le masse non sono più cool. Se da una parte è giusto occuparsi di minoranze (principalmente LGBTQ+ che è poco più dell’1,5% della popolazione italiana, Fonte OCSA 2019) è significativo il fatto che esse occupino il primo posto delle priorità in agenda di una sinistra che un tempo era in prima linea per i diritti dei ‘molti’ (operai) contro i pochi. Quei molti che oggi evidentemente non hanno più appeal, anche se dopo la pandemia, come dopo tutte le crisi, la disuguaglianza economica tra ricchi e poveri è aumentata vertiginosamente (fonte Oxfam Italia 2021) E mentre Fedez critica proprio le effimere priorità della Lega rispetto al DDL Zan, si dimentica che tolto quello alla sinistra non rimane più niente con cui identificarsi.
Una scena dal film ‘Palombella Rossa’ di Nanni Moretti, 1989.
Identità, non solo di genere
Scrive Lodo Guenzi (noto cantante del gruppo Lo Stato Sociale) in un’intervista al Corriere:
‘È stata rimossa la questione di classe: se parti da indietro è perché sei donna, nero o omosessuale. Non ci sono più i poveri’.
Lo scrive Lodo Guenzi, non Salvini. Significativo. Ed è proprio l’autocritica che manca per far ripartire una sinistra importante come contrappeso, forte nell’identità, attenta al valore umano senza scadere nel lobbistico. Nel giorno della festa dei lavoratori, dopo un anno devastante per le classi sociali ‘basse’, sul lavoro si spendono solo parole di facciata, accaldandosi per altro, con la chiara sensazione, confermata dai titoli dei giorni successivi, che quello che interessa (o quello che fa clickbait) sia altro. Oltretutto Fedez è un cattivo rappresentante dei diritti che sostiene, per nulla credibile. Scriveva Fedez qualche anno fa in due sue canzoni:
– “Non fare l’emo frocio con lo smalto sulle dita”
– “Mi interessa che Tiziano Ferro abbia fatto outing. Ora so che ha mangiato più wurstel che crauti. Si era presentato in modo strano con Cristicchi “Ciao sono Tiziano, non è che me lo ficchi?”
Un trasformismo, quello di Fedez, per definizione populista, che odora gli umori della folla, ne segue le tendenze per vendere meglio la propria immagine. E che tolta una prospettiva di coerenza, risulta per forza inattaccabile, perché sempre fluido, sempre valido.