Dopo 68 edizioni, la Mostra del bovino da latte lascia Cremona per Montichiari. Come i peccatori del Vangelo, la città precipita nelle tenebre, il Torrazzo trema, ma non cade. E’ un fiume di lacrime e stridor di denti.
Prefiche e gramaglie si sprecano. E’ un vortice di parole, frasi fatte, luoghi comuni. Di banalità standard tipiche di queste occasioni.
Cremona vergine violata, presa a schiaffi, scippata e umiliata, sfoggia anni di gloria e, orgogliosa, mostra le onorificenze appuntate sul petto.
Fuori tempo, fuori dal mondo, fuori dal potere, si cimenta in una pantomima deprimente e fuorviante. Ridicola.
Aristocratica decaduta, Cremona racconta la storia di famiglia. Si illude di stare ancora alla corte del re, ma da tempo alloggia nella dependance della servitù. Mostra 68 medaglie, ma cameriera è e cameriera rimane. E i fatti lo confermano.
Prona al cospetto di Milano e Brescia con le società partecipate; sottoposta a Mantova con l’Ats; declassata nel rating delle Fiere, si crogiola nella sua bellezza. Cullata dai propri violini, compiaciuta per le sue vacche da oscar, satolla di chiacchiere, vive di illusioni.
Per la fuga dei bovini la contessa offesa invoca l’intervento di Milano e di Roma. Chiama a rapporto i politici locali, i quali avranno delle responsabilità sul fattaccio, ma la nobildonna che li convoca dimentica di non essere esente da colpe. Ma contessa, mi faccia il piacere e Totò condividerebbe.
E’ un classico della nostra provincia chiudere le stalle quando i buoi sono scappati e vale anche se a fuggire sono le vacche.
Gli orfani della frisona si stracciano le vesti, ma nessuno mostra il rovescio della medaglia, l’altra faccia della luna.
Nessuno delle molte persone coinvolte nella Waterloo bovina che ammetta: siamo stati un po’ – non molto per carità – coglioni a perdere la Mostra. Un pizzico incapaci.
Non un Calimero che si batta il petto, reciti il mea culpa e aggiunga un timido scusateci.
Sperare che tolgano il disturbo motu proprio è come chiedere al Pd di dire qualcosa di sinistra, o alla Lega locale di prendere una posizione prima degli altri partiti. Ma i sogni alimentano la speranza.
Il trasloco non è stato uno sgarbo, ma un calcolo di costi/benefici. Oggi in tutti i campi, contano i bilanci, la determinazione, l’autorevolezza dei propri rappresentanti nelle sedi decisionali. Vale anche per la Mostra del bovino. Tradizione, quarti di nobiltà, bon ton, sono utili. Non indispensabili.
Nel fight club della politica ci vogliono muscoli, coraggio, costanza e obiettivi precisi. Soprattutto è di rigore una squadra unita e inossidabile. Una sporca dozzina e Gli intoccabili sono un buon esempio. Non è tempo di minuetti, ma di rock e la canasta è stata soppiantata dal poker.
In battaglia servono generali, non maggiordomi. I cacadubbi non sono ammessi.
Il sergente Gunny non è politicamente corretto, ma qualcosa può insegnare. «Se voi signorine pensate di continuare a fare le lavative solo perché l’altro sergente era un rammollito che contava i giorni che gli mancavano per andare in pensione, scordatevene e cominciate a comportarvi come marines e di corsa».
In provincia i marines scarseggiano e la corsa non è molto praticata.
Cremona ha perso lo scontro con Brescia, ma viene il sospetto che non abbia combattuto, o se ha incrociato i ferri, questi avessero le lame poco affilate.
Per restare nel Vangelo, ora che tutto è compiuto, è anche tutto più leggibile.
Montichiari è più salutare per le frisone. E’ più forte. E’ più sgamata. Più coesa. Più squadra. E’ più tutto.
Chi è causa del suo mal pianga se stesso e se ci aggiunge anche lo stridor di denti, nessun problema, ma non intenerisce il cuore.
Inammissibili attenuanti e giustificazioni, lo scaricabarile è fuori gioco.
Indispensabili invece umiltà e dedizione per ricostruire. Per aggiornare il medagliere.
Il trasloco della Mostra del bovino a Montichiari è il raccolto di una semina su un humus provinciale povero di idee e di iniziativa.
E’ la risultante, una carenza di uomini capaci di coagulare le istanze del territorio e trovare le risorse per soddisfarle. E’ la conseguenza di una classe dirigente flaccida, timorosa, frutto del caso e non di una selezione rigorosa.
E’ un flop forse annunciato. Di certo, è il trionfo dell’incomunicabilità e dell’incapacità di mediazione e di diplomazia.
Non devono ripetersi altre Montichiari. Se questo concetto è condiviso, allora è il momento di rimboccarsi le maniche e dimenticare fazioni e conti da regolare. E’ necessario lavorare insieme. Se non per amicizia, almeno per convenienza. Chi non lo fa non ama il nostro territorio.
Antonio Grassi