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Food Policy, Cremona. Ecco perché FdI si astiene

5 Novembre 2021

In seguito al consiglio comunale del 3 novembre 2021 con in oggetto la deliberazione delle linee guida in materia di food policy, Fratelli d’Italia ha deciso di astenersi per la varie motivazioni che abbiamo elencato nell’intervento in consiglio comunale. La cosa grave è che l’Amministrazione prima chiede l’approvazione delle linee guida e poi vuol parlare con stakeholder, industrie alimentari ed università. Ma il processo deve essere assolutamente fatto al contrario: prima si sentono tutte le realtà del territorio redigendo insieme le linee guida e poi si chiede il benestare del consiglio comunale. Premesso che siamo assolutamente favorevoli all’impegno per salvare l’ambiente, siamo altresì convinti che la lotta al cambiamento climatico deve avvenire con fatti concreti e non con la sola ideologia. A tal proposito va ricordato il pensiero dell’Amministrazione presentato nel libretto stampato nel 2019 riguardo il cibo.

Dopo una attenta lettura delle linee guide proposte dalla quale si capisce l’autoreferenzialità del documento, balzano all’occhio i dati delle proiezioni ONU che è sacrosanto tenere in considerazione, ma in un progetto che coinvolge il nostro territorio avremmo preferito avere anche dati calati sulla nostra realtà, dove il tessuto è molto diverso da quello ivi considerato, Non ci pare sia stato considerato che nel nostro territorio lo sviluppo (specie della città) è partito dalle industrie alimentari: oleifici, industrie dolciarie, salumifici, molini ed impianti di trasformazione dei cereali, i
consorzi, le fiere…tutt’ora presenti; per Cremona la filiera produttiva successiva e associata alla produzione primaria e l’industria agro zootecnica  costituiscono elemento vitale per il comparto produttivo del territorio.

E’ indispensabile creare opportunità con una politica alimentare calata sulla nostra realtà, bisogna ‘creare occupazione con il cibo’ ma ad oggi non mi pare ci siano i presupposti. Parlare di sostenibilità ambientale e solidale senza la sostenibilità economica non è possibile, non ci si può basare sui sussidi per esistere… servono scelte di sviluppo, serve offerta formativa, abbiamo percorsi universitari principalmente basati sul food e non sono stati nemmeno considerati. Vengono esaltate le dop e igp del territorio, formaggi e salumi per esempio, ma si è provato a chiedere agli allevatori se con il concetto di agricoltura sarebbe possibile sostenere una produzione a questo livello o, al contrario, si è mai provato a chiedere al consumatore se ha la consapevolezza del know how alla base del prodotto che sta consumando?

Ecco l’autoreferenzialità di cui accennavamo prima, le autorità competenti per la sicurezza alimentare non ci pare vengano citate. Chi è stato sentito d’altro? Qualche persona specializzata nel campo? O è frutto solo di una propaganda ideologica fine a se stessa? Le associazioni di categoria legate all’agricoltura presenti sul territorio? Temo la risposta sia ovvia: non ci risulta infatti che ci sia il coinvolgimento di stakeholder, competenti in materia di sicurezza alimentare in tutte le fasi della filiera. L’amministrazione è sicuramente consapevole che le normative in materia di sprechi, come la legge ‘antispreco’ incentiva la donazione, non solo di eccedenze di cibo, ma di farmaci, di vestiti ed altri generi, aumentando la disponibilità di beni destinati alla redistribuzione gratuita. Tra i molti aspetti positivi questa norma presenta qualche lacuna come ad esempio equiparare i soggetti donatari al consumatore finale. Così che decadono alcuni obblighi di rispetto della normativa in materia di sicurezza alimentare e quali rischi si
presentano? Ad esempio: gli alimenti che hanno superato un certo termine possono essere ceduti ai sensi dell’articolo 4, garantendo l’integrità dell’imballaggio primario e le idonee condizioni di conservazione. Chi le garantisce e valuta? Il Comune o questi ‘donatari’ dispongono di personale adeguatamente formato?
E se tali alimenti ad esempio non fossero esattamente salubri o comunque poco pregiati dal punto di vista nutrizionale, magari destinati a categorie deboli, che ricaduta avremmo sul sistema sanitario? Tra i meandri di tali norme sono previste esenzioni di imposte, riduzioni tariffarie (giustissime se si tratta di
beneficienza vera), ed altri mille appigli per consentire ogni agevolazione possibile ed immaginabile. Inoltre chiunque intenda donare del cibo in eccedenza deve per forza farlo attraverso i soggetti donatari che selezionano gli aventi diritto (i beneficiari). Lo sapete che esistono scienziati, e che il tracciamento delle filiere agroalimentari si effettua anche con il DNA? La genomica e la bioinformatica che sono le nuove frontiere per una agricoltura resistente ai cambiamenti del clima, competitiva e sostenibile ed a pochi chilometri da Cremona, hanno centri d’eccellenza?
Sarebbe inoltre interessante capire cosa si intende per recupero funzioni ex mercato ortofrutticolo; ci sarà un progetto ad uso anche dei produttori e quindi dei cittadini o diventerà un’area/struttura esclusiva ad uso e consumo dei soliti noti?
Concludendo la lettura, non troviamo un vero interesse a valorizzare le vere eccellenze del territorio cremonese, senza contare che questi accordi vincolano per 4/5 anni di osservazione impegnando il Comune alla creazione di un ufficio con competenze umane interne/esterne per intraprendere questo percorso di implementazione culturale. Siamo fortemente contrari alla durata che travalica il mandato politico di questa amministrazione con un evidente aumento di costi di gestione e di spesa corrente che va contro la logica stessa della politica di ripartenza necessaria in questo momento storico (non è certo questo il momento di aumentare questo tipo di spesa pubblica!); suggeriamo quindi ai soggetti coinvolti nel progetto di auto-organizzarsi in movimenti di promozione culturali alimentari per poi relazionarsi con l’assessorato competente ed eventualmente con ATS negli uffici competenti.

Inoltre la proposta della creazione del Consiglio del cibo, che vede protagonisti gli stakerholders non trova necessità di esistere all’interno dell’Ente, perché legherebbe l’Ente stesso alle decisioni del Consiglio del cibo, mentre deve essere sempre indipendente rispetto ai soggetti che compiono l’azione propositiva. Il Consiglio del cibo, così come formulato nella proposta, deve essere quindi esterno e autonomo e relazionarsi in un secondo tempo con l’Ente che valuterà risultati e proposte del Consiglio. Non è pensabile che il Consiglio del cibo determini la politica dell’Ente (obiettivi primari, documenti strategici) su argomenti multidisciplinari che vedono l’ente Comune protagonista e non subordinato al Consiglio del Cibo!

 

Marcello Ventura

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